Scifoni e il “santo piacere”

Tutti inciampiamo nelle nostre mutande. Credenti o atei, bigotti o libertini, ricchi e poveri. Per verificarlo basta farsi catturare dal divertentissimo e tutt’altro che banale spettacolo teatrale messo in piedi (con la regia di Vincenzo Incenzo) dall’eclettico Giovanni Scifoni, “Santo piacere”. Gira da qualche anno, e – con qualche ritocco frutto dell’esperienza e del pubblico – è approdato anche a Bologna, in un’unica data al Dehon dove ha fatto il pieno per ben due spettacoli, tra pomeriggio e sera. In un’ora e quaranta minuti l’attore coinvolge tutti, anche i più prevenuti o distanti, in una viaggio ironico e acuto sui rapporti tra noi, religione e sesso. Nessun luogo comune, molta sincerità, tante risate liberatorie e anche non poca cultura, viste le citazioni dotte utilizzate. Probabilmente pochi, prima di quest’evento teatrale, sapevano chi fosse Orìgene e cosa avesse combinato, evirandosi. Qualcuno ha scritto che Scifoni s’è ripromesso di mettere finalmente le cose a posto tra morale cattolica e sessualità, rovello plurisecolare dei praticanti e della Chiesa cattolica, tutti accusati ciclicamente di essere sessuofobici. Forse Scifoni non aspira a tanto, anche se il sottotitolo spinge in questa direzione risanatrice: “Dio è contento quando godo”. Certo è che “Santo Piacere” racconta in definitiva e verosimilmente la sua stessa esperienza, il suo cammino dall’adolescenza in avanti; con schiettezza e lealtà Scifoni si mette a nudo, letteralmente, per arrivare alla fine dello spettacolo in mutande, dopo essere entrato in scena travestito da scimmione primordiale. Il coinvolgimento del pubblico è assicurato anche da frequenti incursioni in platea per chiedere di alzare le mani a chi ritenga di essere ateo o agnostico. Quasi nessuno ha osato esporsi, all’inizio, guadagnandosi la sorridente ironia del protagonista: suvvia, siamo in Emilia-Romagna, no? Tuttavia la selva di mani, reticente all’inizio, si è poi alzata liberatoria per ammettere che tutti hanno avuto problemi col sesso.
Nel suo viaggio senza alcun intervallo – un atto unico, e lo si regge senza alcuna distrazione o fatica – l’attore si è fatto accompagnare dalla ballerina Anissa Bertacchini, che compie varie incursioni sulla scena fino a rappresentare, nel commovente finale, la madre stessa di Scifoni. Ma l’attore si fa accompagnare anche da due personaggi “immaginari”, in un dialogo scintillante, pertinente e spassoso: il prete don Mauro, con il suo perenne rimandare le risposte ai tediosi incontri settimanali in parrocchia, e il musulmano intellettuale Rashid.
Insomma, divertimento intelligente, che fa ridere e pensare. Soprattutto fa intuire che noi tutti siamo molto di più della sessualità che impera e tracima da ogni parte.
Gianni Varani