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Ridateci Sanremo. Quello che fa cantare

N. 88- Aprile 2024

 

 

 

Ridateci Sanremo. Quello che fa cantare

Sanremo è Sanremo. Quante volte negli ultimi anni ci hanno raccontato questa favola un po’ stucchevole. Da tempo, proprio come il re di un’altra fiaba, il Festival è nudo, anche se pochi hanno il coraggio di dirlo. Non c’entrano nostalgia o sovranismo, ma un dato di fatto. Sanremo non è più Sanremo. Perché sul grande carrozzone hanno caricato di tutto: sponsor ossessivi, conduttori strapagati, artisti noti, se va bene, nella ristretta cerchia dei parenti, superospiti, quasi sempre imbarazzanti. Il Noè di questa singolare arca ha fatto il pieno caricando a bordo di tutto di più per riprendere un vecchio slogan della Rai. Dimenticando la cosa più importante: la canzone italiana. Quella per cui il Festival è nato e che faceva parte del suo Dna. Quella che abbiamo esportato in tutto il mondo. Quella che ancora oggi canticchiamo davanti allo specchio o sotto la doccia. Sanremo non è più Sanremo perché delle canzoni che vengono proposte nessuno, a pochi mesi, dall’esibizione sul palco dell’Ariston, ricorda interprete, titolo e men che meno il ritornello. I brani scivolano via senza lasciare traccia. E i fini dicitori delle canzonette, dagli urlatori ai melodici, sono sciaguratamente estinti. Gioco, partita, incontro per i followers della location di plastica alla Baywatch dove anche le palme sono finte. Viva l’Italia, cantava De Gregori. Il mondo sommerso che snobba Sanremo vorrebbe poterlo di nuovo gridare: su quel palco ci ha regalato sogni, emozioni, lacrime, sorrisi. E soprattutto brani da ricordare.

Stefano Andrini

Nell’immagine in alto: Nilla Pizzi e Achille Togliani all’edizione del 1952

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