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L’azzurro Delft e il bagliore di perla

N. 88- Aprile 2024

 

 

 

L’azzurro Delft e il bagliore di perla

Stedelijk centrum met concentrische grachten. La lingua olandese suona come binari cavalcati da un treno merci in transito. La frase si traduce: centro urbano a canali concentrici. Alcune città dei Paesi Bassi, Amsterdam/Aalkmar/Bourtange/Middelburg, hanno un nucleo antico circondato da corsi d’acqua che si succedono come i cerchi del bersaglio.

Anche Delft ha questa struttura. Il perno è il Markt, piazza rettangolare chiusa a ovest dallo Stadhuis (municipio) del 1620, dalla rinascimentale facciata in arenaria. Il lato est è sbarrato dalla Nieuwe Kerk, vasta chiesa di culto protestante: il campanile-missile di 108 metri, rosa/bianco/blu, racchiude un carillon di 48 campane che farebbe assopire un cavallo imbizzarrito. I lati lunghi sono siepi di case bianche e rossastre, a due piani, accomunate da un solo abbaino che sporge dai tetti a V rovesciata.

Dal 31 ottobre 1632, data di nascita a Delft, Jan Vermeer alloggia all’angolo del Markt, di fianco alla Kerk. La sua casa giallina è adiacente alla locanda Mechelen, di proprietà dei genitori calvinisti. A vent’anni gli tocca la gestione dell’alberghetto ma, come dicono a Bologna, lui non ne vuole mezza. Il ragazzo ha però appena sposato Catharina Bolnes, cattolica benestante che, con le rendite della madre, sana alcuni debiti della pensioncina e la manda avanti personalmente.

Vermeer vuole solo dipingere e, grazie al sussidio della moglie, si iscrive alla corporazione di san Luca, divenendo maestro pittore. Va ad abitare nella casa di Catharina, tre edifici oltre la locanda: lì allestisce il proprio studio.

Jan lavora poco e lentamente. Vive 43 anni e gli vengono attribuiti solo 28 quadri: non concretizza più di 2 tele l’anno (mentre i suoi colleghi arrivano a 50). I quadri sono poi piccoli, circa 45 cm x 55, poco più di un A3. Sicuramente è un perfezionista, forse è pigro. Lavora dalle 7, quando la luna gracile dell’alba non è ancora tramontata, alle 9: sempre poche pennellate. Dipinge preferibilmente uomini e donne giovani in un interno, mai un vecchio/un animale/un fiore.

Alle 10 esce per una lunga passeggiata. In estate, sotto un cielo blu-Delft come le porcellane locali, raggiunge i canali ombreggiati dai tigli. In autunno accelera il passo imitando le nuvole grigie, che corrono come fossero in ritardo per timbrare nell’ufficio di Dio. In inverno attraversa il Markt, sottilmente gelato come una pista da pattinaggio: il cielo ha il colore dell’argenteria vecchia. In primavera sfiora le cassette coi tulipani dai petali spessi e le viole del pensiero sbattute dall’assillo del vento.

Vermeer è alto, magro quanto un pennello, con un accenno di baffi. I capelli scuri e ondosi sgorgano sotto un cappello largo, rosso oppure nero, dalla vaga forma di astronave. Col freddo indossa un mantello scuro, col caldo una giacchetta nocciola fino a metà natiche.

Nel pomeriggio il pittore rincasa e riceve qualche mercante d’arte, per uno svogliatissimo e poco remunerativo commercio.

A 23 anni, un mattino d’aprile, Jan, guanti in mano come un bouquet sgualcito, vede una ragazza incorniciata da una finestra della locanda. L’ovale della testa è appena inclinato all’indietro/lo sguardo chiede fintamente aiuto/la bocca carnosa è dischiusa. Pelle liscia come uno specchio. La fanciulla sta facendo le pulizie e per non sporcare i capelli li ha nascosti sotto un turbante turchese e crema.

Dopo un tentennamento Vermeer si presenta. La ragazza dice di chiamarsi Griet. Il pittore le chiede di passare nelle mattinate successive nel suo studio, per una ripulitura di stanza e attrezzi.

Lo studio è il luogo “al coperto” dove il lavoro si svolge in modo efficiente e artistico, anche con la flemma di Jan. L’Alchimia esige che le operazioni della Grande Opera si compiano all’interno di un matraccio ermeticamente chiuso. Senza isolamento nulla può concentrarsi e senza concentrazione preventiva non può essere esercitata alcuna azione magica. Le energie accumulate con pazienza e silenzio, al riparo da infiltrazioni perturbative, dispiegano a un certo punto potenza e bellezza irresistibili.

Nell’atelier di Jan l’eternità si addentra a poco a poco nel tempo. La forma si fa gradualmente magnifica.

Nessuno ha mai avuto il permesso di accedere allo studio di Vermeer. No la moglie. No Tanneke, donna da 15 anni al servizio di Catharina e dei Bolnes. Griet ci entra e, su indicazioni precise, sgura il pavimento e lava addirittura i pennelli.

Griet è poi accolta ogni mattina nell’atelier.

Comincia il gioco della seduzione, che è ridurre la distanza e nello stesso tempo mantenerla. Gli occhi di Jan e Griet diventano complici di una superiorità nei confronti del mondo: troppo bella lei, troppo bravo lui. Gli occhi di lei sono stelle in pianura (così canterebbe Loredana Bertè). Gli occhi di lui sono di angelo scivolato su una stella viscida. Però gli occhi non perdono mai la santa bussola, nemmeno quando la fronte si scalda, nemmeno quando le unghie degli indici si mettono a grattare le unghie dei pollici. Gli occhi non hanno mai lo stigma del (con)turbamento.

Jan e Griet sono come le rotaie che conoscono lo stesso destino, di osservarsi sempre, di incontrarsi mai. Se le rotaie smettessero di guardarsi e si unissero in un abbraccio il viaggio avrebbe fine.

Jan chiede a Griet di posare. Dopo svariate sedute sortisce quel ritratto universalmente noto come “La ragazza con l’orecchino di perla”. Il quadro, 47 cm x 40, è ora esposto alla galleria Mauritshuis dell’Aja, 25 km da Delft.

Il quadro occupa da solo una stanza, ma sarebbe capace di riempire, in completa solitudine, il palazzo intero. È un dipinto-icona e se altre tele gli venissero appese accanto verrebbero annullate, assorbite dai muri, polverizzate.

Griet è l’unica figura di Vermeer che si stacchi da un fondo indistinto; di solito il pittore riempie gli sfondi con oggetti: ceste di vimini, paioli di rame, carte geografiche, quadretti a tema dissonante rispetto al disegno principale. Racconta Tracy Chevalier che, ad opera quasi terminata, Vermeer si rende conto che qualcosa nel quadro manca. Jan chiede allora a Griet di indossare gli orecchini di perla della moglie. La ragazza si fora le orecchie, provando un dolore che la fa lacrimare. Ma ecco, l’intuizione sublime: il flash dell’orecchino moltiplica per dieci il dinamismo della tela.

Faccio visita alla ragazza con l’orecchino di perla nell’agosto 2008, provenendo da Delft. La vedo emergere da una base nera. La luce le cade sul labbro inferiore. I capelli sono tutti occultati dal turbante turchese e crema del primo incontro con Jan. Dalla perla guizza un bagliore candidissimo. Griet sprizza l’erotismo naturale dell’adolescente che si atteggia a essere più grande della sua età. Il colletto immacolato in cima a una blusa tabacco sottolinea il volto languido e ammaliante,

Mentre la osservo, lei gira il collo e le iridi si spostano nell’angolo sinistro degli occhi, per fissare le mie pupille. Aumento il respiro per scacciare l’ipnosi, ma, quando mi muovo, lei mi segue con lo sguardo. Lei non mi stacca gli occhi di dosso. Ed io non riesco a separare i miei dai suoi. Sono stato uncinato. Quando esco dalla stanza mi volto perché avverto la sua presenza alle spalle.

Narra ancora Tracy Chevalier che la moglie Catharina, venuta a conoscenza dell’abuso dei suoi orecchini, si arrabbi con la forza di una valanga gigante contro marito e servetta. La fanciulla viene licenziata.

Dopo qualche anno Griet sposa Pieter, giovane macellaio, e mette al mondo 3 figli. Non può competere con Jan che diventa padre di 11 eredi.

Vermeer muore a Delft il 15 dicembre 1675, in un alone di mistero (ictus o avvelenamento volontario?). Avvenuta la tumulazione nella Oude Kerk, Griet viene chiamata dall’esecutore testamentario: Jan le ha lasciato, dentro una scatola d’oro, gli orecchini del quadro. I binari non si possono certo incontrare: uno si è addirittura interrotto. Ma la traversina di perla che li ha uniti rifulge ancora, sulla tela e tra le mani di Griet.

Carlo Maria Milazzo

Nell’immagine di apertura, incisione di Jan Caspar Philips, View-of-Delft, 1742-Rijksmuseum

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