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La sostenibilità firmata Caviro

N. 88- Aprile 2024

 

 

 

La sostenibilità firmata Caviro

L’Italia, dicono le statistiche di OIV, l’Organizzazione internazionale della vigna e del vino, è stata negli ultimi anni la maggior produttrice mondiale di vino. Nel 2023 ci sarebbe stato un sorpasso da parte della Francia, ma gli esperti ancora lo stanno discutendo.

E’ facile immaginare che, al tempo della vendemmia, carri e carri di uva si avviano verso le cantine, dove gli acini e i graspi verranno schiacciati per ricavare il prezioso mosto.

Considerando la resa, gli esperti affermano che da un quintale di uva si possono ottenere al massimo 70 litri di vino. Quindi, all’incirca, per ogni 100 chili d’uva ci sono almeno 30 chili di scarto da smaltire. Una spesa ingente, che però può essere trasformata in una risorsa.

Come si fa a trasformare una spesa in una risorsa si verifica percorrendo (in pullmino) i 40 ettari che costituiscono la sede di Caviro Extra, la società che la più grande cantina d’Italia, Caviro, ha costituito per governare lo smaltimento degli scarti, traendone ogni possibile prodotto.

Da una decina danni il gruppo romagnolo leader italiano nella produzione di vino ha investito nell’economia circolare, con impegni che superano i 100 milioni di euro. Ma il risultato c’è stato: gli ultimi bilanci dicono che quasi il 40% del fatturato è stato ottenuto tramite i prodotti nobili ricavati dagli scarti e dall’energia che con questi ultimi è stata prodotta.

Il core business di Caviro, una società cooperativa agricola di secondo grado, è pur sempre il vino: in cima a tutti, il famosissimo Tavernello: “il vero vino d’Italia – spiega il direttore generale Giampaolo Bassetti- che piace ovunque, tanto che si è collocato al 9 posto nel mondo tra i vini più bevuti”.

Giampaolo Bassetti, dg Caviro

Per piacere nel mondo, nei suoi 40 anni di vita il Tavernello si è specializzato e raffinato: è diventato bio (in Giappone accettano solo questo) è diventato gold, ed ha lasciato il brick per il vetro nella versione “bollicine”.

Accanto ad esso, Caviro produce anche con molte altre etichette: alcune legate alle private label della grande distribuzione, altre legate al segmento della ristorazione e delle enoteche.  In totale significa che a Caviro affluisce l’8,5 per cento di tutta l’uva italiana; che si vendono 175 milioni di litri di vino in 80 Paesi, confezionati in 223 milioni di bottiglie, brick o bag in box.  

Tutto quel che non diventa vino, diventa molto altro, non meno prezioso. In primo luogo, alcol etilico di origine agricola, enocianina (colorante naturale per l’industria alimentare), olio (dai vinaccioli), polifenoli (impiegati nell’industria cosmetica), acido tartarico (per l’industria farmaceutica, ma utilizzato anche in edilizia per la produzione di pannelli fono assorbenti), poi ancora mosti, mosti concentrati rettificati, eccetera.

Nella struttura faentina, il Gruppo recupera oltre 600.000 tonnellate di scarti. Dopo la prima estrazione dei cosiddetti “prodotti nobili”, essi vengono avviati al percorso energetico, per ricavare energia elettrica e termica, biometano e bioetanolo. Da ultimo, i residui tornano in vigna, come fertilizzanti naturali da compost. Il presidente Carlo Dalmonte sottolinea con orgoglio che il 99% degli scarti viene recuperato, grazie a modelli di produzione sostenibili e circolari. I numeri dicono che da 624.000 tonnellate di scarti si sono rigenerate 269.000 tonn di prodotti destinati a nuovi utilizzi; si sono ottenuti 160 giga watt di energia elettrica equivalente, di cui il 55% è stato ceduto a terzi, dopo aver garantito il 100% di autosufficienza energetica. Resta solo lo 0,1% di rifiuto irrecuperabile, ma anche su questo stanno lavorando.

Della effettiva circolarità e sostenibilità del ciclo operativo testimoniano le numerose certificazioni che l’azienda ha ottenuto, compreso il “carbon assessment” del sito di Faenza, per determinare l’impronta di carbonio che le lavorazioni lasciano sul pianeta.

Presto seguirà la stessa procedura anche per il sito di Forlì, una vera e propria “cattedrale” dell’imbottigliamento, con cisterne in acciaio alte decine di metri, collegate tra loro e con il reparto imbottigliamento con un sistema di tubazioni telecomandate. Automazione spinta anche nel recentissimo magazzino di conservazione e smistamento del confezionato, alto 30 metri, inaugurato a fine febbraio.

A garantire definitivamente la sostenibilità del “modello Caviro” ci sono dei testimoni inoppugnabili: le cicogne, che fanno il nido nei pressi del sito di Faenza e che lo scelgono come tappa nei loro voli migratori.

Lisa Bellocchi

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