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La monaca di Monza “sventurata” e colpevole

N. 88- Aprile 2024

 

 

 

La monaca di Monza “sventurata” e colpevole

Alla fine non muore. Da secoli. In qualche modo Manzoni l’ha resa immortale. La monaca di Monza. I Promessi Sposi hanno contribuito in definitiva a questa immortalità letteraria molto più di tutti i pruriti e i brividi che la vicenda umana di questa donna, suora forzata, amante e complice di omicidi, continua a suscitare. Gertrude, la celebre suora di clausura, è tornata a far discutere del suo drammatico caso a Bologna, riempiendo il teatro Duse. L’associazione culturale “Incontri Esistenziali” ha invitato due giornalisti – Annalena Benini e Mattia Feltri (che sono moglie e marito) – a discutere se la famosa monaca sia stata innocente o colpevole della propria infelicità. Lo stesso quesito ha coinvolto oltre 400 persone, in veste di giuria popolare, chiamate a sentenziare in modalità digitale sul caso, usando il cellulare alla fine del confronto.

Non erano a tema – sia ben chiaro – i delitti compiuti in concorso con il suo amante. La colpevolezza, su questi, sarebbe apparsa scontata. Il focus era sul suo cedimento alla vocazione monacale, l’inizio del suo cammino d’infelicità e poi di perdizione. Un sentiero dolente al quale fu indubbiamente e subdolamente forzata in tutti i modi dal padre, principe e padrone. L’investigazione psicologica straordinaria di Manzoni – illustrata all’inizio dalla professoressa Sabina Gerardi, del Liceo Malpighi di Bologna – è stata quindi usata da una parte per sostenere che la giovane avrebbe dovuto dire di no (Feltri: era comunque una potente nobildonna, aveva margini per sottrarsi, quindi colpevole), dall’altra per dire che non avrebbe in realtà potuto opporsi (Benini: troppo sola, a differenza di Lucia, perciò innocente).

Tre la parole chiave del caso umano, richiamate dalla professoressa e investigate nel confronto, che ha coinvolto anche la platea: potere, desiderio e libertà.

Alla fine il verdetto ha un po’ sorpreso, anche per la suspense dovuta a pochi voti di scarto: hanno vinto di misura i colpevolisti. Gertrude quindi, secondo la maggioranza della “giuria” bolognese, poteva cambiare il suo destino e non l’ha fatto.

Questa avventura “esistenziale”, a metà strada tra scuola, teatro e aula giudiziaria, è stata immaginata – e l’ha spiegato il presidente degli “Incontri Esistenziali”, Francesco Bernardi – a seguito di un altro analogo confronto, tenuto nell’estate del 2021 sui colli di Bologna, sull’altrettanto famoso caso di Paolo e Francesca, dannati da Dante nel girone infernale dei lussuriosi. In questo caso dantesco prevalsero gli innocentisti. A dibatterne c’erano l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi e il filosofo Stefano Bonaga.

Per chiudere in bellezza l’evento del Duse, è stato ricordato comunque il vero finale della storia che ispirò Manzoni. Gertrude è infatti ritagliata sulla figura realmente esistita di suor Virginia de Leyva. Per quasi dieci anni amante e complice di Giovanni Paolo Osio, fu condannata ad essere murata viva in una stanzetta di 3 metri per 1,5 con solo una piccola fessura. Ci rimase per quasi 14 anni. Non impazzì, ma divenne quasi santa – secondo un cronista del tempo – tanto che il cardinale Federico Borromeo, il suo giudice, la liberò nel 1622. Decise addirittura di scriverne una biografia esemplare – “Di una verace penitenza” – e le affidò la cura di suore dubbiose sulla propria vocazione. Non completò l’opera, il cardinale, a causa della morte, nel 1631. Suor Virginia, la “Signora”, gli sopravvisse quasi 20 anni. Di quell’abbozzo di biografia si persero le tracce, fino al 1912, quando fu ritrovata nella biblioteca Ambrosiana da Achille Ratti, il futuro Pio XI.

Ma quel che è certo è che Gertrude-Virginia è rimaste viva fino ad oggi grazie a Manzoni. E ancora continuerà a far discutere a lungo.

Egidio Tedeschi

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