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Giornata dell’olio d’oliva, 6000 anni di tradizione

N. 88- Aprile 2024

 

 

 

Giornata dell’olio d’oliva, 6000 anni di tradizione

Le prime tracce risalgono a sei mila anni fa, ma solo quattro anni fa, nel 2019, l’Unesco si è deciso a fissare un giorno per celebrare l’olivo (e il suo prodotto più famoso, l’olio). La Giornata mondiale dell’Olivo è stata fissata per il 26 novembre di ogni anno e lo scopo è, secondo l’Unesco, “proteggere l’olivo e promuovere i valori di cui è simbolo: pace, saggezza e armonia”. Olivo (o ulivo) e olio hanno infatti attraversato la storia dell’uomo tra alti e bassi, lasciando tracce importanti lungo tutto il suo percorso.

La sua coltivazione si è sviluppata sulle sponde del Mediterraneo e anche se poi si è diffuso in 60 Paesi di tutto il mondo, dalla Nuova Zelanda al Golfo del Messico, i maggiori produttori sono ancora sulle sponde del mare nostrum di romana memoria, Italia, Spagna, Tunisia, Grecia, Marocco.

Per secoli l’olio ha curato, illuminato e lubrificato il mondo. Veniva usato infatti per curare le ferite, per lenire disturbi intestinali, per alimentare le lampade, per ungere catenacci e ingranaggi. La sua importanza era tale che nell’antica Atene chi rovinava un albero di olivo finiva sotto processo e rischiava persino la pena di morte (Aristotele dixit).

Forte era la sua simbologia: le sue foglie adornavano il capo dei vincitori delle olimpiadi dell’antichità, la colomba che annuncia a Noè la fine del diluvio universale porta nel becco un ramoscello d’olivo, Gesù Cristo al momento dell’ingresso in Gerusalemme viene osannato con rami di olivo. A proposito di Cristo: il significato della parola è ”l’Unto” riprendendo la tradizione dei sovrani del popolo ebreo (ma non solo) di venire unti con l’olio d’oliva al momento di essere nominati re. Nella simbologia cristiana l’olio mantiene ancora oggi un ruolo centrale: lo si usa per il battesimo, la cresima e l’estrema unzione (olio santo).

Venendo a cose più mondane, era ed è ancora oggi un prodotto cosmetico: per ungere i capelli o per rendere luminosa la pelle, l’olio si usa allo stato naturale o (come più spesso avviene oggi) in combinazione con altri prodotti.

Conosciuto da secoli prima di Cristo, la pianta d’olivo camminò con l’impero romano e le sue legioni. Dal Mediterraneo il consumo di olio si spostò anche verso l’Europa continentale. La sua diffusione ebbe un arresto con le invasioni barbariche cioè di quelle popolazioni che preferivano lo strutto, ma riprese nel Medioevo, soprattutto all’interno dei monasteri, fino all’avvento di Martin Lutero. Questi stravolse il rapporto tra uomo e Dio ed eliminò il concetto di peccato e di penitenza. Per cui niente più digiuni e quaresime. Se nel mondo cattolico-romano nei giorni di quaresima e di vigilia bisognava mangiar di “magro”, per cui niente grassi animali (burro), ma solo vegetali (olio d’oliva), nel mondo protestante burro, strutto e quant’altro andavano benissimo tutto l’anno. Fu così che a metà del Cinquecento crollò il mercato dell’olio d’oliva nel Nord-Europa, con il crollo delle esportazioni dai Paesi mediterranei.

Gli antichi che lo usavano come medicina sembra non avessero tutti i torti, visto che la scienza moderna ha riconosciuto a questo prodotto qualità benefiche grazie ai suoi contenuti in polifenoli e in grassi monoinsaturi che lo rendono un ottimo antiossidante che previene l’invecchiamento delle cellule, che aiuta a combattere il colesterolo, riducendo il rischio di malattie cardio-vascolari.

Di più: la pianta dell’olivo ha un altro grande pregio: è importante nella lotta al cambiamento climatico, perché assicura un bilancio del carbonio positivo assorbendo nel suo ciclo vitale un quantitativo di CO2 superiore al gas effetto serra emesso durante il processo di produzione dell’olio.

L’olio extravergine d’oliva è ancora oggi uno dei prodotti cardine della dietra Mediterranea, la sua produzione però negli ultimi anni si è andata riducendo. L’Italia, secondo produttore mondiale dopo la Spagna, è passata dalle 700 mila tonnellate dei primi anni Duemila a circa 300 mila tonnellate del 2023. Una calo analogo si registra nelle altre nazioni rivierasche del Mediterraneo. La causa va ricercata nei cambiamenti climatici, con l’aumento della siccità primaverile ed estiva. In Italia pesa anche l’arrivo della Xylella, una batteriosi distruttiva che ha colpito pesantemente gli uliveti dell’Italia meridionale, in particolare in Puglia, regione con la maggiore produzione italiana di olio.

Ma ci sono segnali di ripresa: il riscaldamento globale sta spingendo l’areale di coltivazione più a nord e già si impiantano ulivi in Piemonte e Valle d’Aosta, mentre, contro la Xylella, chi va in Puglia può vedere sempre più spesso i vecchi ulivi bruciati dal batterio sostituiti con nuovi impianti di varietà più resistenti.

Tutto lascia pensare che ci saranno ancora tante Giornate Mondiali dell’ulivo e dell’olio da celebrare.

Giuseppe Di Paolo

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