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Educazione alla sostenibilità: vezzo o urgenza necessaria?

N. 87- Marzo 2024

 

 

 

Educazione alla sostenibilità: vezzo o urgenza necessaria?

Parlare di sviluppo sostenibile sembra un vezzo da appassionati ambientalisti o giovani della generazione di Greta Thunberg, nonostante lo si faccia diffusamente da più di 30 anni, almeno da quando, nel 1987, la Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) delle Nazioni Unite ha pubblicato il Rapporto Brundtland.

Nel 1987, venne codificato il concetto di sviluppo sostenibile come “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Una sostenibilità che sia contemporaneamente rispettosa dell’ambiente, economicamente e socialmente possibile, che ponga cioè particolare attenzione al concetto di bisogni e di benessere.

Le iniziative a livello globale di promozione della sostenibilità sono state moltissime, passando dall’Agenda 21, dalla Dichiarazione di Rio, fino agli “Obiettivi di sviluppo sostenibile” dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, di sostenibilità sono stati conditi numerosi discorsi. È anche un tema di moda, se ne parla tanto ma la si pratica poco, un po’ come accade per l’olio di palma di cui tutti parlano e tutti evitano i biscotti che lo contengono, ma in realtà in pochi conoscono realmente il perché.

Come spesso accade quando gli obiettivi sono molto ambiziosi ed anche un po’ generici, si fatica a concretizzarli nell’operare quotidiano. Li si vede come una cosa che deve fare qualcun altro, come un’esigenza vera, ma procrastinabile o delegabile.

Nessuno, se interrogato sugli obiettivi dell’Agenda 2030 dirà di essere contrario; nemmeno il peggiore “troll” che, lanciando notizie false, sguazza nelle paludi dei social media, dirà che non si debba sconfiggere la povertà, che si debbano avere mari inquinati o che la biodiversità non vada tutelata. Molto più facile è, invece, per tutti noi vivere senza preoccuparsi minimamente di questo.

Gli ultimi anni trascorsi nella pandemia hanno reso evidente la cagionevolezza della nostra società e la necessità reale di un sistema di vita che sia sostenibile, in cui le fragilità e le debolezze vanno accolte in un sistema solidale globale per non farle ingigantire e diventare un’onda distruttrice.

Pensare che si possa vivere in modo sostenibile solo in “tempo di pace” e che quando siamo in emergenza si possa derogare a qualcuno dei pilastri della sostenibilità è una pericolosa illusione. Ce lo sta dimostrando l’urgenza della crisi climatica, i cui costi stanno diventando molto più grandi dei “risparmi economici” generati dall’ignorarla. Costi che non sono solo economici, ma soprattutto sociali, che implicano un aumento della povertà nelle aree più fragili, che innescano migrazioni di massa da questi luoghi e generano crisi umanitarie planetarie. Il limite del vedere la sostenibilità come un lusso, che ci si può permettere quando tutto funziona a meraviglia e si hanno risorse in più, è reso evidente dalla crisi energetica in cui siamo oggi. La dipendenza dalle fonti fossili e la mancata politica di investimenti sulle rinnovabili ci costringe ad una rincorsa di forniture di gas e petrolio da paesi che non sono certo migliori da quelli da cui cerchiamo di smarcarci, favorendo governi in cui i diritti umani vengono costantemente calpestati e riportandoci verso l’utilizzo di combustibili come il carbone, che oltre ad allontanarci dagli obiettivi di neutralità carbonica emettono in atmosfera sostanze estremamente pericolose per la nostra salute. Non dimentichiamo che quasi metà della popolazione italiana vive in aree dove la salute è fortemente compromessa proprio dalla qualità dell’aria.

La questione sostenibilità non si affronta (solo) riparando i danni a posteriori, ma riorientando sulla qualità ambientale e sociale, il modo di produrre e consumare.

Occorre agire a più livelli, è certamente un problema politico che va affrontato su scala globale e nazionale, ma è ancor più vero che va affrontato in modo capillare influenzando gli stili di vita di tutti noi.

La strada da percorrere è quella che passa da un cambiamento degli stili di vita e da una educazione alla comprensione di ciò che significa vivere in modo sostenibile.

Dove si fa educazione oggi? Non solo a scuola, ma in ogni luogo dove si pratica la sostenibilità con coerenza e competenza. Un esempio virtuoso di azioni dal basso si può trovare in ciò che viene fatto dalla Rete di Educazione alla Sostenibilità (Res) che è attiva in Emilia-Romagna dal 1999.  Coordinata dal Centro Tematico di Educazione alla sostenibilità di Arpae, assieme a Università, agenzie scientifiche e alle Scuole della regione, promuove azioni educative rivolte sia ai ragazzi che alla cittadinanza.

Partendo dall’idea che l’educazione fornisce a persone e organizzazioni non solo le conoscenze, ma soprattutto le competenze necessarie alla transizione verso la sostenibilità, sono numerosi i progetti che, negli ultimi due decenni, hanno affiancato le istituzioni scolastiche e le realtà vive nel territorio favorendo la partecipazione civica.

Lavorare sui temi dell’Agenda 2030 è sicuramente un ottimo viatico per camminare verso uno sviluppo sostenibile; per questo nello scorso anno sono stati avviati 20 laboratori nelle scuole primarie e secondarie dell’Emilia-Romagna dove i ragazzi più giovani sono stati accompagnati nella scoperta degli obiettivi dell’Agenda nella loro quotidianità. Nelle scuole superiori sono invece stati affiancati nell’elaborazione di un bilancio di sostenibilità della loro scuola, considerando gli aspetti energetici degli edifici scolastici, la mobilità casa scuola e l’inclusione sociale nei suoi diversi aspetti.

Sempre partendo dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda ONU, in ogni provincia della regione si è tenuto un forum che coinvolgesse la cittadinanza ed i portatori di interesse economici e sociali, facilitando attraverso processi partecipativi, azioni che permettano ai territori di crescere tenendo in considerazione le diverse componenti che lì vivono ed operano.

Per evitare di “riparare i danni a posteriori” occorre modificare gli stili di vita. I progetti educativi sulla limitazione dell’uso delle plastiche attualmente in corso sono svolti non solo con gli studenti, che imparano a gestire, differenziare e raccogliere le plastiche, ma anche con chi, nella ristorazione, nel turismo balneare o nel commercio di alimenti, di plastica ne maneggia tanta. Con chi vuole sperimentare strade in cui se ne utilizzi sempre meno, si eviti di disperderla, se ne favorisca il riuso, e dal punto di vista economico si continui a produrre reddito in modo vantaggioso senza scaricare i costi su altri.

Sono tanti i progetti che la rete RES sta portando avanti in questi anni, cercando di rispondere alle sfide che ci vengono quotidianamente poste, ma soprattutto cercando di contribuire alla formazione di una nuova mentalità che consenta di non aggiungere emergenze a quelle che purtroppo si presentano normalmente. Ricordandoci che anche questo è un contributo alla pace: pace che -come ricordava Papa Francesco in un celebre discorso- “La pace non è soltanto assenza di guerra, ma una condizione generale nella quale la persona umana è in armonia con se stessa, in armonia con la natura e in armonia con gli altri”.

Francesco Malucelli e Paolo Tamburini

Per approfondire:

Sostenibilità (Enciclopedia Treccani)

Educazione alla sostenibilità Arpae Emilia-Romagna

Canale youtube della Sostenibilità in Emilia-Romagna

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