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“Zingarata” a Monaco con la Fata Luppolina

N. 88- Aprile 2024

 

 

 

“Zingarata” a Monaco con la Fata Luppolina

 8 su 32 è la percentuale dei denti in bocca a Pierolik, disastrosa come quella di un giocatore di basket in uno spareggio-salvezza. Pierolik è il solo barista del Bar Rossoblù, fuori Porta Mazzini. Parla un esperanto di dialetti: sannita di fondo più vernacolo romano più inflessioni bolognesi con S SpeSSe come SargaSSi obeSi. Magro quanto una carta da gioco, lavora ininterrottamente dalle 7 del mattino alle 2 di notte. (Di tanto in tanto Pierolik si addormenta in piedi, appeso alla leva della macchina del caffè. La frangia dei capelli neri gli cade sugli occhi come una tenda a far buio. Quando Pierolik si arrende al sonno, tutti nel Bar abbassano la voce/ai tavoli delle briscole si sussurrano gli accordi invece di urlarli/le partite di biliardo vengono sospese/ si stacca la corrente al flipper)

Primi giorni di luglio 1978. Tipica afa felsinea, che fa sudare anche i lampioni. I tigli più che profumare tentano di narcotizzare. Alle 2 di una notte infrasettimanale Pierolik abbassa la serranda. Sciàmano via una decina di marescialli, veri o presunti/il fontaniere strabico/Pino al calzuler/Hollywood, il vigile coi ray-ban scuri anche di sera/l’avvuché/il vaginista (il ginecologo) /il bel Maurino/lo Zio/il Nonno/il nano Gigino/Canappia, dal naso-cyrano che lo precede di un quarto d’ora/Pacco, voluminoso a livello genitale/l’ex carcerato Zecchinetta/la gloria del Bologna FC Giacomo Bulgarelli/gli attuali giocatori rossoblù Cresci e De Ponti/l’allibratore del Totonero/il cantautore d’insuccesso, al momento ladro di autoradio/il sommergibilista che ha colpito un treno alzando troppo la mira del siluro……

Alle 2 il ritmo circadiano è in frantumi: il cortisolo balla una polka con la melatonina. Impossibile andare a letto/e poi con la sudorazione che ti unge come carta avvolgi-prosciutto/e poi con una sete che vorresti avere sulla schiena le gobbe gonfie di un cammello.

-Vi va una birra? – domanda Armando.

-Ho avuto un pediatra irlandese che mi ha prescritto la Guinness al posto del latte in polvere- rispondo.

Tra i ragazzi presenti: Louis-la-Nuit è appena tornato da una discoteca sulla bazzanese e calza scarpe a puntissima, quelle che ucciderebbero un ragno in un angolo di 45°/Stefano F. vuole andare in una bisca clandestina/il Leone tra poche ore ha una gara di motocross col suo Ktm/Dente Aguzzo deve dare da mangiare al suo pitone reale e portare il dobermann a passeggio/Bengasi, con quello che ha trincato, ha il sangue color Johnny Walker/al fiol dal pcàr (il figlio del macellaio) è già travestito da Marylin e deve passare a prendere Eva Robin’s per lo showtime sui viali della fiera…….

Solo io sono disponibile all’invito di Armando. Del resto sono “studente”, in pratica faccio l’americano con i soldi della borsetta di mammà.

-Dove andiamo per ‘sta birra? – mi informo.

-Baviera, Monaco- rivela Armando.

-Non devi lavorare? – chiedo sapendo che Armando, rappresentante di vestiti da donna, ha un’agenda fitta di appuntamenti.

-Mi piglio una brevissima pausa-

Il mio nome è Bond, Vaga Bond. Per questo, nel garage di casa, a 100 metri dal Bar, tengo uno zainetto con sneakers/mutande/magliette di ricambio più un maglione e un giaccotto. Armando, che a volte dorme in hotel extraregionali, ha nel bagagliaio una valigetta ben ordinata. Partiamo alle 2 e mezza, sotto il No Comment della luna. La macchina di Armando è un’Opel Ascona B, bordò, larga, comoda.

L’autostrada è macchiettata di TIR. Armando ipnotizza la lancetta sui 130 Km/h: ho il dubbio che abbia incollato uno stuzzicadenti sulla tacca di quella velocità. L’autoradio capta frequenze via via diverse: in provincia di Modena, Radio Infermiera di Notte manda tanghi/in provincia di Mantova, Radio Golena manda “Al Po l’è sèmpar bèl” e altre odi fluviali/in provincia di Verona, Radio Romeo e Giuletta manda Gigliola Cinquetti/in provincia di Trento, Radio Edelweiss manda cori alpini/in provincia di Bolzano, Radio Jodel manda oillalallaiù farciti di fisarmonica e campanacci di mucche al pascolo. Valicato il Brennero, nel Tirolo austriaco, Radio Maria Teresa manda i lieder di Schubert.

Alla frontiera con la Germania la Polizei ci fa accostare subito dopo le barriere del confine. Mi sale l’ansia quando l’agente, berretto rigido e giacca stretta con almeno sette bottoni, mi perquisisce l’anima con lo sguardo terrifico di Klaus Kinski. Gli allungo la carta di identità e lui si ritira in un casottino. Al ritorno scandisce il mio certificato di nascita: primo nome, secondo nome, cognome. L’ansia diventa fanatismo del peggio: forse sono schedato/forse mi interrogano/forse mi torchiano in tedesco e io non ci capisco un kaiser.

Il poliziotto fraziona gelido: -Na-to a Mo-de-na-

-Sì, perché? – e intanto spero che nel Modenese non gli abbiano venduto un cotechino avariato.

-Pa-va-rot-ti na-to a Mo-de-na- sillaba il gendarme.

-Sì, Luciano Pavarotti, grande tenore. Nato a Modena- confermo e sorrido (se avessi il fazzolettino di Pavarotti mi asciugherei il sudore diaccio sulla fronte e sul collo)

-Pava-rotti gran-de gran-de- ci tiene ad affermare il polismano.

In territorio bavarese Radio Kaputt manda solo notiziari che sembrano annunci di disgrazie. La voce del radiocronista è monocorde, poi si impenna sulle probabili sciagure. Le parole sono rimpinzate di K, W e Z. K di Katastrophe (ja, “catastrofe”). W di Weltschmerz (“dolore del mondo” secondo Jean Paul, scrittore nato in Baviera nel 1763). Z di Zotische Zimmermädchen (“cameriera zotica”, è solo un esempio, non un’offesa).

“Fiume che attraversa Monaco”, c’è sempre nelle parole crociate della Settimana Enigmistica. Quattro lettere: ISAR. Arriviamo all’Isar alle 9. Una nebbia nibelungica sale dal fiume. Pioggerellina fine, da angeli incontinenti. Temperatura sui 15 gradi. Smanetto il riscaldamento dell’Ascona.

Armando si ferma a una cabina telefonica. Chiama un amico, polismano pure lui: lo ha conosciuto al mare di Cervia e gli presta la roulotte d’estate. L’amico abita nello Schwanthaler Höhe, ovest di München: dice di recarci all’Ostello della Gioventù, a un indirizzo fitto di KWZ che Armando si scrive sulla mano. L’alberghetto è a Schwabing, due passi dal Zentrum.

Colazione nella saletta Frühstück: uova strapazzate e birretta Weiss. Stanza da hotel 3 stelle, a due letti. Doccia e dormitina imprescindibile sotto un piumosissimo piumone.

Alle 11.30 usciamo. Metà cielo è ancora grigio mentre l’altra metà si è azzurrata: un arcobaleno sbiadito prova a congiungerle (la fiacchezza dell’iride non ci tange: Goethe, con entusiasmo tutto tedesco per la policromia, sostiene che un arcobaleno guardato per 10 minuti annoia). Poco prima di mezzogiorno siamo in Marienplatz, a contemplare il Neues Rathaus, municipio neogotico (1908). A mezzodì, dalla torre, attacca il Glockenspiel, gioco sonoro di 43 campane. Da un’alta nicchia 22 statue a grandezza naturale inscenano una giostra di cavalieri intorno al banchetto nuziale di Guglielmo V e Renata di Lotaringia, matrimonio del 1568. In una nicchia inferiore un’altra decina di statue balla la danza dei Bottai, che celebra il ritorno alla vita dopo l’epidemia di peste del 1517. La conclusione dello spettacolo è sancita da un gallo che, come un suo famoso antenato, canta tre volte.

L’appuntamento con l’amico di Armando è alla Fischbrunnen, di fronte alla torre municipale. La fontana, acqua turchese, è sormontata da un pesce palla con esoftalmo. Il poliziotto mi stringe la mano mettendomi a rischio l’integrità del metacarpo. Si chiama Ernst (i suoi genitori si sono giocati la dolcezza della vocale a inizio nome e poi hanno scelto il grippaggio di quattro consonanti abrasive). Ernst ha volto ovale. I capelli: un po’ sono grigi/la riga a destra è scolpita col Black&Decker/la sfumatura arriva a metà occipite.

(Mi accorgo qui di non aver ancora descritto Armando. Ottempero: l’Armando ha un fisico da boxeur, viso tondo, incisivi laschi, occhi gentili. Armando è germanofilo: frequenta un corso serale di tedesco).

Andiamo alla Hofbräuhaus, poco distante, storica fabbrica di birra (1859), con annesso ristorante. Entriamo in un salone affrescato e finestrato su un cortile verde foresta. Ci sediamo a un lungo tavolo di legno che già ospita clienti allegrotti. Ad un cenno di Ernst arriva la Kellerin, cameriera da locale pubblico a nome Gretel, come indica un riquadro d’oro appeso alla collanina. Gretel ha trecce bionde simmetriche, fermate da nastrini rossi/incarnato da orso polare/occhi blu-regno dei cieli/ciglia accelerate/un rossetto che dà la sensazione di corpo estraneo nel tuo occhio. Scollatura più che generosa, direi munifica/seno grande come due sidecar BMW/capezzoli evidenti, tipo bulloni a testa esagonale (il tipico entusiasmo tedesco per il sesso chiama i capezzoli warzen, verruche). Corpetto nero con laccio rosso. Gonna tre dita sopra al ginocchio, di un rosso-allarme antiterrorismo. Calze autoreggenti bianche e, orrore!, sandali d’argento.

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Gretel ci svassoia bretzel ad anelli/un wurstel appena ricurvo, apostrofo rosa tra le parole “t‘allego alle papille” /tre birre in boccali da litro. Armando mi traduce da Ernst che stiamo per bere Hofbräu Original, bassa fermentazione/5 gradi alcolici/malto di Monaco/luppolo Hercules/raffreddata a 7 gradi. La birra è di un giallo brillante, con corona bianca schiumosa. Va giù liscia, trionfalmente rinfrescante, godevolissima per il palato.

Fatti fuori mezzo boccale e mezzo wurstel appare, accanto alla mia bevanda, la Fata Luppolina. Io so che questa Fata si mostra solo quando la birra è superlativa e si manifesta solo a chi ha letto le leggende sull’oro del Reno all’età di 10 anni (cosa che io ho fatto). La Fata è alta quanto una candelina di compleanno/ha un nasino all’insù/capelli mori tagliati sulla nuca/un abitino svolazzante viola/due alette trasparenti da libellula/una bacchetta in mano.

-Conosci Gretel, la cameriera? – mi chiede la Fata.

-La vedo oggi per la prima volta-

-Sai da dove viene? – incalza l’esserino.

-No-

-Gretel è figlia di uno dei fratelli Grimm ed è furbissima-

-Davvero? –

-Sì, ha gabbato sia il suo padrone che un invitato a cena-

-I dettagli? –

-Una sera Gretel cucina un pollo per il padrone e un suo amico, ma non resiste al profumo dell’arrosto e se lo mangia. All’invitato che arriva alla porta Gretel dice che in realtà il padrone lo vuole accoltellare. Al padrone Gretel racconta invece che l’invitato è fuggito rubando il pollo. Il padrone, intenzionato a recuperare il pasto, insegue il fuggiasco brandendo il coltello della cena-

Io so che la Fata, mentre tu bevi, può tenere compagnia disquisendo di ogni argomento. Mi chiede infatti:

-Di che vuoi parlare? –

Giustizio il wurstel e rendo noto:

-Crepuscolo degli dei-

-Tu devi essere un italiano matto matto- etichetta la Fata.

-Se posso scegliere, Götterdämmerung– ribadisco.

La Fata batte la bacchetta sul boccale. Domanda:

-Non ti interessa il sesso tra Fate ed Elfi, tra Streghe e Giganti, tra Ondine e Folletti? –

-Orco mondo? No-

-E un approccio biochimico alla birra non ti stuzzica?  – riprova Luppolina.

-Tiamina, riboflavina, acido pantotenico- elenco.

-Piridossina, biotina, cianocobalamina- completa la Fata.

-Preferirei un inesorabile Crepuscolo-

Gut. Ma non ti parlerò di storie norrene, né di Wotan, né di Walhalla, né di Wagner, né di Walchirie al galoppo-

-Va bene-

-Ti narrerò una favola che non hai mai sentito- enuncia la Fata.

Gretel porta un altro piatto con mezzo pollo (l’altro mezzo l’ha probabilmente trangugiato lei). Per contorno: crauti verdini e una palla di Kartoffeln simile a una spugna. Altro boccale da litro, griffato dalla sigla blu HB, sormontata da una corona. La Fata Luppolina racconta:

-In un tempo, più o meno lontano, Il Padre di Tutto abita una cabina altissima, avvitata su un pilone bislungo, radicato al centro dell’Eurasia. Il Padre ha una barba da clochard, capelli scompigliati da scienziato, alluci sproporzionati. Dentro la cabina soggiorna anche un inserviente, il Santo a cui Votarsi, coperto solo da uno scampolo di seta rossa-

Addento il pollo. La Fata:

-Il Padre ha costruito un macchinario cubico/grigio/antiestetico in cui si agitano lame affilate, cocci di bottiglia, frullatori, cilindri eccitati, pistoni oliati, saette rubate al cielo, vomeri alati. Il cubo è collegato a una sfera con proprietà fluidificanti, a sua volta connessa a una sfera omogeneizzante. Dalla seconda sfera una conduttura esce a forare il pavimento per scendere in verticale fino all’Eurasia-

Armando continua a esercitare il suo tedesco da emigrante con Ernst. La Fata:

-Un giorno, il vecchio, impolverato da un’aria creativa, decide di aggregare la forma umana. Allo scopo, manda il Santo a cui Votarsi nel retrocabina, con una lista di ingredienti da cercare. Tra questi: rami d’albero in crescita dopo potatura/nitrito di cavallo vincente/mela imperatore/costola d’agnello/catalogo delle Anime Perse/monologo teatrale in cui compaia l’espressione Io sono/vino rosso, preferibilmente un Nozze di Cana imbottigliato nel 30/spezie/aromi/acqua di fonte iposodica-

Ernst inframmezza parole quali mafia/carbonara/andreotti/mino reitano. La Fata:

-Il vecchio versa nel macchinario il materiale trovato dal Santo. Accensione/scoppi a catena/wroom wroom da centrifuga/uau uau di segnalazione-pericolo/sospiro di lamiere stanche. Poi una spia verde testimonia il passaggio del prodotto, la forma umana, nella conduttura per l’Eurasia-

Mi rimangono tre quarti della seconda birra. La Fata:

-Dopo tre giorni il Padre chiede al Santo di recarsi ai piedi della cabina, per informarsi sul comportamento della nuova forma. Il Santo scivola lungo la conduttura fino alla base. Risale poi alla erta dimora tramite una scala di corda lanciata dal vecchio. “Dimmi”, intima il Padre. Il Santo, col fiato grosso, riferisce: “Ho fermato…appena in tempo…la forma umana…Stava tagliando…il palo che ci sorregge…Le ho confiscato… questa accetta sporca di schegge” –

Armando ed Ernst hanno occhi rilucenti come cucchiai. La Fata:

– Il vecchio constata: “Forse abbiamo esagerato”. “Io non c’entro”, si discolpa il Santo. “Lo so che non c’entri, ma Noi abbiamo comunque esagerato”, ammette il Padre-

Gretel ci lascia tre piattini con bavaresi alle fragole. La Fata:

– Il vecchio chiede al Santo: “Hai detto alla forma umana che, se continua a usare accetta o sega, dovrà morire?” “Sì”, palesa il Santo. “E la forma umana che ha risposto?”, s’informa il Padre. “Ha detto che è immortale”, confessa il Santo. “Benissimo!”, esclama il vecchio-

La bavarese rivela la vaniglia. La Fata:

-Il Padre passeggia a lungo sul pavimento della cabina, colpendo oggetti con gli alluci sovradimensionati. Ad un tratto deduce: “L’unica soluzione è che Noi e la forma umana moriamo a turno. Quando Noi vivremo lei morrà e quando noi morremo lei avrà ampia fioritura. Santo, vai giù a proporre questo patto!” –

Le fragole crocchiano. La Fata:

-Il Santo scivola di nuovo sulla conduttura. Fa ritorno per la solita fune organizzata in scala. Appena rientrato in cabina il vecchio lo investe: “Allora?” –

-Allora? – mi incuriosisco anch’io.

La Fata, con la bacchetta tesa:

-Il Santo deglutisce la saliva bollente e annuncia: “La forma umana ha accettato” –

Brevemente, gli eventi successivi: la Fata Luppolina scompare quando l’ultima goccia del secondo litro di birra imbocca il mio esofago/Ernst paga il conto con Marchi grandi e blu come bandierine da sventolare a una parata/alcol e notte bianca impongono altra dormita in Ostello/nel tardo pomeriggio visitiamo la Frauenkirche, cattedrale con le torri anteriori coronate da cupole a cipolla/poi entriamo nella St.Johann-Nepomuk-kirche, capolavoro rococò. La sera incontriamo davanti al Nationaltheater Ernst e famiglia, moglie rotondetta e tre figli tra i 12 e i 4 anni/andiamo a mangiare alla Pizzeria Dante Alighieri (caro Goethe, ciàpa sü e porta a ca’)/il pizzaiolo è Ciro Esposito da Torre Annunziata. Il mattino dopo Armando ed io ci rechiamo all’Alte Pinakothek: non potrei perdonarmi di mancare Dürer, Altdorfer, Derick Baegert. A mezzogiorno, panino con Leberkäse, cetrioli, senape. Poi zurückkommen

Giungiamo al Bar Rossoblù che ancora non è sera. Ordino un toast e un caffè a Pierolik.  Guardo la fauna da bar: non credo che a nessuno interessi il Crepuscolo degli dei. Ma fa lo stesso: la gita è stata fantastica e la Fata Luppolina inestimabile. Dankeschön Armando, anche a tanti anni di distanza.

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