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Uno scrigno d’arte sulle colline d’Abruzzo

N. 88- Aprile 2024

 

 

 

Uno scrigno d’arte sulle colline d’Abruzzo

Gli appellativi per il piccolo oratorio di San Pellegrino di Bominaco, frazione di Caporciano in provincia dell’Aquila, sono altisonanti. C’è chi l’ha definita la Cappella Sistina d’Abruzzo e chi la giudica più bella della cappella degli Scrovegni di Giotto. I paragoni e le classifiche lasciano il tempo che trovano, ma chi arriva in questo paesino, sperduto in mezzo alle montagne, a mille metri di altezza, con meno di cento abitanti, e si trova davanti a questa chiesetta anonima, non può neanche immaginare quello che troverà dentro. Una volta varcata la soglia non può che provare stupore e meraviglia per la bellezza che si trova ad ammirare. La pareti e la volta dell’oratorio sono completamente affrescati con immagini di grande intensità, piene di caldi colori, con figure e gesti pieni di grazia.

Prima di Giotto

La chiesetta non ha la maestosità della cappella Sistina né la ricchezza della cappella degli Scrovegni, ma ha un fascino che riempie gli occhi. Stilisticamente le pitture sono vicine al gotico di Giotto e non certo alla pittura rinascimentale della Sistina. Non potrebbe essere diversamente, dato che i dipinti dell’oratorio risalgono al 1263, pochi decenni prima dell’opera giottesca che risale al 1306, mentre la Cappella Sistina arriva duecento anni dopo.

Se la pittura gotica italiana viene datata sulle opere di Cenni di Pepo, noto come Cimabue, che nel 1272 dipinge l’espressivo Crocifisso di Santa Croce, e sui dipinti di Giotto dell’inizio del Trecento, gli affreschi di Bominaco anticipano di alcuni decenni gli stilemi del gotico che si staccano dalla tradizione romanica e bizantina. È la riprova che l’evoluzione degli stili nell’arte non avviene per magia da un giorno all’altro, ma da lenti cambiamenti nell’arco degli anni.

Tre Maestri

Le immagini sacre sulle pareti dell’oratorio di san Pellegrino abbandonano la fissità ieratica dell’arte bizantina e iniziano a rappresentare personaggi con figure filiformi ed eleganti (tipiche del gotico) nell’atto di svolgere una azione in un contesto dotato di un minimo di prospettiva. Tutte caratteristiche che troveranno la loro massima espressione proprio in Giotto. Gli artisti di Bominaco sono anonimi e gli almeno tre diversi pittori individuati dagli esperti vengono identificati con le storie dipinte da ognuno di loro: il Maestro dell’infanzia di Gesù, il Maestro della Passione e il Maestro Miniaturista.

Il Maestro della Passione ha dipinto la maggior parte degli affreschi: la storia della Passione di Cristo e della vita di San Pellegrino e le immagini sulla facciata d’ingresso e sul fondo. È sicuramente quello che più si distacca dalla tradizione romanica. Bellissimi gli affreschi, ad esempio, della flagellazione di Cristo e della deposizione dalla croce.

Il Maestro dell’Infanzia ha dipinto episodi della vita di Gesù con un stile che unisce le linee del gotico francese con influssi ancora bizantini, raffigurando personaggi esili e aggraziati, inseriti in architetture che si rifanno alla realtà.

Il terzo maestro, il Miniaturista, è stato così definito perché il suo stile ricalca molto a quello degli artisti che miniavano piccole scene sulle pagine dei libri medioevali. A lui si deve la maestosa scenografia del calendario, suddivisa in dodici scene sulle due pareti dell’oratorio. Figure elegantemente vestite, cavalli con ricche bardature, contadini che rappresentano il lavoro dei mesi e le festività del luogo.

Queste ultime immagini introducono temi “laici” in un contesto prettamente religioso. È un fatto per quei tempi piuttosto innovativo, che anticipa le tendenze successive, che svincolano le immagini dell’arte dalla religione. Sono dipinti che comunque testimoniano come conventi e monasteri sono sempre più aperti alla società, alle attività umane di ogni giorno, sviluppando le tematiche dell’”ora et labora” benedettino.

Trovandosi a mille a mille metri di altezza, tra le montagne più aspre di tutto l’Appennino, che costituiscono una cortina quasi insormontabile tra l’oriente e l’occidente di questo territorio, viene spontaneo chiedersi: perché opere d’arte così belle e raffinate sono state realizzate in questi luoghi che, almeno oggi, sembrano fuori dal mondo? Quale desiderio, quale aspirazione artistica e umana può aver portato alla creazione di tali opere?

Protezione per i viandanti

Forse la risposta è nella necessità di confermare e sostenere la fede e la religiosità di quanti qui vivevano, lavoravano e, soprattutto, di quanti qui transitavano. L’oratorio di san Pellegrino un tempo faceva parte di un monastero benedettino di cui oggi resta, oltre all’oratorio, la bellissima chiesa romanica di Santa Maria Assunta. Già la presenza di un monastero potrebbe spiegare l’ingaggio di artisti per un lavoro così importante. Ma Bominaco era anche in una posizione strategica lungo il tratturo Magno e costituiva un’area di sosta per i tanti pastori che dalle montagne abruzzesi menavano le loro greggi (parliamo di milioni di animali) per svernare in terra di Puglia. La religiosità dei pastori è testimoniata dalle tante chiese che lungo i tratturi segnavano le tappe della transumanza. Sicuramente essi rappresentavano un “pubblico” ideale per le immagini sia sacre, sia laiche che impreziosiscono l’oratorio. Non è un caso che la piccola chiesetta si trovasse fuori dalle mura del convento, consentendo ai visitatori di accedervi senza disturbare la vita monastica.

La conferma dell’importanza dell’oratorio per la gente che viaggiava è la gigantesca figura che si trova sulla controfacciata dell’oratorio, a sinistra della porta d’ingresso. Apparentemente non c’entra niente con gli altri affreschi: raffigura San Cristoforo, patrono di viaggiatori, pellegrini, viandanti (oggi anche degli autisti) e quindi dei pastori transumanti. Secondo una tradizione, non solo abruzzese, ma di tutto il mondo cattolico medievale, guardare l’immagine di san Cristoforo il più spesso possibile preservava dalla morte improvvisa. Averlo dipinto (la mano è del Maestro della Passione) “over size” lo rendono immediatamente identificabile tra le decine di immagini che tappezzano le pareti del piccolo oratorio. Segno che era il santo più importante e di maggior richiamo per la religiosità di quanti passavano di qui.

Quello che oggi sembra un luogo abbandonato, fuori dai grandi centri dell’arte gotica e rinascimentale, in realtà era un tempo un luogo pieno di vita, economicamente attivo, che ha spinto grandi artisti, per quanto a noi sconosciuti, a riempire una chiesetta anonima di colori e di immagini pieni di grazia e significato.

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