Tramonta la stella degli armaioli Toschi
Si è consumato nel maggio scorso l’epilogo di una delle più antiche attività artigianali romagnole, peraltro nota a livello nazionale. Il giorno 16, a seguito di un malore improvviso è mancato Andrea Toschi. Poco più che settantenne, originario di Villa San Martino, agro di Lugo di Romagna, abitava e lavorava a Voltana di Lugo. Al grande pubblico dell’informazione generalista d’oggi, il nome probabilmente dirà poco o nulla. Ma se sfogliamo (realmente, non solo metaforicamente) le pagine delle archeologie artigianali romagnole, scopriremo che Andrea Toschi aveva alle spalle una storia antica di famiglia, iniziata nella prima metà dell’Ottocento. Una storia di archibugiari, cioè costruttori di armi leggere da fuoco. Era l’ultimo della famiglia rimasto in attività.
Chi erano i Toschi armaioli? I Toschi armaioli hanno rappresentato un esempio classico di quanto sia stata decisiva per alcune antiche famiglie artigiane la rimodulazione (in alcuni casi il cambiamento radicale) dei mestieri d’origine. I Toschi infatti furono in origine fabbri, e il cognome non esclude un’antica provenienza da zone del crinale tosco-romagnolo, quando le Romagne storiche si estendevano oltre gli attuali confini politici. L’inizio della loro attività di archibugiari è ufficialmente collocabile verso la metà del 1800, in pianura, a Villa San Martino.
A dare il colpo di timone per il cambio di rotta fu Alessandro Toschi, nato nel 1834. Una sua permanenza in Inghilterra per motivi strettamente personali (memorie di famiglia parlano di relazione con una donna, relazione che fu troncata e che gli diede qualche noia, poiché le Romagne erano allora sotto il dominio papale, che non scherzava su queste cose). Stante la situazione, il “nostro” pensò bene di cambiare aria e migrò in Inghilterra con l’intenzione, lui fabbro, di perfezionarsi nella costruzione di casseforti, forse per un progetto di espansione dell’officina. Evidentemente ebbe però la ventura di incontrare alcuni archibugiari inglesi, riconosciuti maestri mondiali dell’arte, dei quali l’Inghilterra di quei tempi era abbondantemente fornita. Non è dato sapere esattamente come avvenne la “retromarcia”, sta di fatto comunque che dopo qualche anno tornò a casa e insegnò il mestiere ai fratelli, dimostrando di essere divenuto anche un bravissimo incisore, quindi artigiano completo.
Non si può peraltro escludere che la lavorazione delle armi, a parte il periodo inglese, non fosse del tutto sconosciuta ad Alessandro e ai familiari, poiché a pochi chilometri di distanza dalla loro abitazione, alla Bruciata di Lugo, era allora attiva già da oltre due secoli l’officina dei conterranei Zanotti, archibugiari conosciuti dall’inizio del 1600 (anch’essi “evolutisi” da un mestiere precedente: da mugnai ad armaioli!). Comunque sia, fatto sta che le casseforti le fece qualcun altro, e Alessandro Toschi cominciò a fare fucili a casa propria cambiando la vita e la storia della famiglia. L’esperienza inglese costituì evidentemente un valore aggiunto, perché, nel corso degli anni, i Toschi montarono in più di un’occasione canne ordinate a note case inglesi, nella fattispecie ai preclari cannonieri (cioè costruttori di canne) Whitworth, Greener e Kilby per fucili di particolare finitura. Esulando un attimo dall’argomento principale, giusto per dare una dimensione della celebrità mondiale dei suddetti artigiani inglesi, da notare che la doppietta con la quale il noto gambler e pistolero Doc Holliday partecipò all’arcinota “sfida all’Ok Corral”, tema di tanti film western, era una Greener.
Quando l’inizio dell’attivita dei Toschi? Documenti della registrazione della ditta sono riscontrabili su documenti della Provincia all’anno 1887, e dello stesso anno esiste anche una pubblicazione statistica del Ministero di Agricoltura, Industria e Foreste. Ma l’attività era presente già in precedenza, poiché già nel 1870 i Toschi sono citati su documenti dell’allora Circondario di Lugo, in occasione dell’assegnazione di un premio importante ricevuto in una delle Esposizioni Agricole-Industriali che si tenevano nella località. I documenti testimoniano, non ultimo, come i Toschi avessero imparato il mestiere molto bene, tant’è che in quell’occasione superarono i vicini sopra citati conterranei Zanotti, maestri indiscussi e noti a livello nazionale, anch’essi concorrenti. Le armi firmate da Alessandro si portano dietro ancora oggi l’appellativo dialettale “al sandrȏni”, le “sandrone”, come riferimento al nome del costrutore. Alessandro visse fino al 1887. Dopo di lui fu il figlio Roberto (1862-1927) a portare avanti l’attività, passandola poi a Toschi successori insieme al marchio (R. Toschi), mantenuto fino ai nostri giorni. Negli oltre centocinquant’anni di lavoro, dall’officina Toschi sono prima usciti fucili ad avancarica e mano a mano negli anni fucili con la moderna retrocarica nei diversi modelli. Da un punto di vista tecnico-storico, è interessante riportare che, fra gli armaioli romagnoli (nell’Ottocento ve ne fu una certa schiera, fra noti e meno noti) i Toschi sono stati detentori di un primato: essere stati gli unici, con Alessandro, ad avere costruito il fucile ad ago. Il fucile ad ago è stato uno degli apripista della retrocarica. Sfruttava un sistema di accensione per cartucce di carta (allora innovativo) perfezionato in Europa dal tedesco von Dreyse verso il 1840. Il sistema venne poi riprodotto, dopo il 1850, in Francia da Chateauvillard, e in Inghilterra dai laboriosi archibugiari Needham e Lancaster. A titolo di cronaca, fucili ad ago erano gli Chassepots francesi (modello 1866), che nonostante lo stato embrionale del novello sistema di caricamento, causarono ingenti perdite ai volontari garibaldini alla battaglia di Mentana il 3 novembre 1867 (Les chassepots ont fait des merveilles – Gli Chassepots hanno fatto meraviglie: con questa fredda frase, il generale francese De Failly comunicò ai suoi superiori la pesante disfatta garibaldina di Mentana).
Il lungo e ininterrotto percorso dell’attività dei Toschi armaioli è stato quindi segnato da importanti passaggi dell’evoluzione delle armi da fuoco da caccia e da tiro. E in un certo senso intriga riflettere sul fatto che le armi di oltre cento anni fa e quelle più recenti sono state costruite con gli stessi utensili, quantomeno con una parte di essi, passati da una mano all’altra dei Toschi da un secolo all’altro. Quest’attività artigianale ebbe un ultimo momento di celebrità fino ai passati anni ’70-’80, grazie ad una pubblicistica di qualità. Poi i cambiamenti di mode e il mercato hanno via via portato il tutto prima verso il collezionismo per esperti e amatori, poi verso il crepuscolo. Andrea aveva ereditato e assorbito compiutamente tutta la storia della famiglia. Persona affabile e colloquiale, competente sulla panoramica armiera non solo italiana, fluido e sicuro nel lavoro, aveva portato con arte e bellezza nel terzo Millennio una storia iniziata due secoli prima. Era infatti ritenuto essere la mano più felice tra quelle dei Toschi del Novecento.
Grandi firme dell’incisione europea hanno arricchito le opere particolarmente fini della famiglia lughese, dai belgi Alphonse Delvenne e Hyppolite Corombelle, agli italiani Medici, Fabbrizioli, Galeazzi, Bregoli. Ma, oltre che d’arte, la bottega dei Toschi armaioli forse più di altre è sempre stata ricca d’atmosfera. Uno scorcio della Romagna profonda. Fra le lime, gli scalpelli e il trapano a pedale, le voci degli amici paesani e dei clienti hanno lasciato immagini e storie di cacciatori e tiratori, di vite campagnole, di accese discussioni politiche, del vecchio anticlericalismo socialista e repubblicano di quando la “cisa” (la chiesa) era l’osteria, di quando la doppietta, la “s-ciòpa”, nelle campagne romagnole era un patrimonio di famiglia. Cronache dei vecchi romagnoli che, con la loro tipica antitesi dialettale, si salutavano con poderose pacche sulle spalle scambiandosi “accidenti” beneauguranti (Ch’ut ciapéss un colp… a stét bén? – Ti prendesse un colpo… stai bene?). E mentre le voci e le storie si rincorrevano da uno all’altro dei banchi da lavoro centenari, le lime, gli scalpelli e il trapano a pedale davano forma ad una nuova opera. Memorie romagnole di uomini e di lavoro. C’era una volta la Romagna solatìa e d’arte archibugiara.
Roberto Aguzzoni
Nella foto in alto: Al centro, finissima incisione del maestro Galeazzi su una doppietta Toschi di metà ‘900.