Pasolini, Haendel e la lingua italiana

Nel centenario della nascita del bolognese Pier Paolo Pasolini, studioso dalla personalità catalizzante e ricordato con una miriade di manifestazioni, mi piace associare il suo profondo interesse per la lingua italiana al compositore inglese G. F. Haendel. Secondo Pasolini, che interpretò il linguaggio utilizzando le più svariate forme artistiche, il lessico era giunto sino a noi dalla letteratura dei grandi: Dante, Petrarca e Boccaccio.
Per lo stesso motivo, il “prestigio letterario” dell’idioma trovò seguito nelle stesure dei librettisti del melodramma che frequentavano la casa del conte Bardi, in quella Firenze che fu l’icona del Rinascimento e che rimasero destino di chi venne dopo di loro, poiché la lingua italiana poteva, per mezzo di un’ottima recitazione sorretta dall’impianto strumentale, arrivare al pensiero dell’ascoltatore, per farlo riflettere e coinvolgerlo nell’azione scenica.

G. F. Haendel (1685 -1759), attraverso la concatenazione armonica e la pratica dell’arte contrappuntistica, con la quale era in grado di modificare qualsiasi schema armonico – musicale, riuscì a porre in musica ciò che osservava intorno a sé. Per capire lo stile che lo caratterizzò e lo rese differente da Bach, iniziamo con il chiarire quali fossero le sue aspirazioni artistiche, travasate con una grandiosa semplicità, fatta di modelli strutturali di grande chiarezza armonica, in quella musica magnificente, pregna di fantasia e vivacità. Per Haendel, la lingua italiana fu elemento così importante da determinarne la fulgida carriera. Nelle 40 opere teatrali e serenate in lingua italiana, le arie di forma tripartita ABA erano eseguite solitamente dagli evirati, o dalle voci femminili anche nei ruoli en-travesti e si alternavano ai recitativi secchi, accompagnati solitamente dal basso continuo o dal violoncello. La forza di Haendel nel conferire carattere ai personaggi, facendoli – attraverso la sua musica – immergere in azioni drammatiche, comiche o patetiche, gli permise di collaborare con i più noti librettisti italiani di quell’epoca. Il segreto? Il suo soggiorno tra il 1706 ed il 1710, in Italia. Ciò gli permise di venire a contatto con Domenico Scarlatti ed Agostino Steffani a Venezia, dove raccoglierà ovazioni ed un indescrivibile successo con l’opera Agrippina, nel 1709. Andato a Roma, conobbe Alessandro Scarlatti, Arcangelo Corelli e Bernardo Pasquini.

Nel 1719, la nobiltà inglese fondò la Royal Academy of Music (che proprio in questi mesi festeggia i 200 anni di attività), il cui teatro fu predisposto soltanto per rappresentare le opere degli italiani, come Bononcini. Le enormi rivalità non colpirono Haendel, il quale volle rappresentare, in quel teatro, ben 14 opere, nelle nove stagioni dal 1720 al 1728. Nicolò Porpora e Carlo Broschi (meglio noto come Farinelli), lasciarono quest’Accademia, per darne vita ad un’altra. Haendel innamorato dell’Italia, soleva dire: “Preferisco sentir nutrire un cavallo italiano che sentir cantare un uomo o una donna tedesca”.
Padroneggiando l’italiano, il compositore lo rese così aderente alla sua musica da produrre linee melodiche del canto di tale bellezza e lievità che ancora oggi rimangono stampate nella nostra mente; perciò il corrente italiano di quell’epoca, divenne la sua fortuna. Gli schemi poetici utilizzati da Haendel, attribuirono una dimensione immortale alle figure mitologiche, appartenenti ad un mondo antico fatto di Re ed Eroi. Immortale del resto fu tutta la sua musica. Divenuto profondo conoscitore del melodramma italiano, egli volle per la sua musica solo libretti scritti da italiani. Stessa cosa successe per i cast di cantanti, ai quali venivano affidati i ruoli dei titoli. Un esempio su tutti è la meravigliosa opera Rinaldo la quale raggiunse un successo delirante. Essa fu interpretata da Nicolini, Valentini, Boschi e Cassali (primi uomini), da Elisabetta Pilotti Schiavonetti e dalla Vanini Boschi (le Signore). Lanciato nel firmamento universale, Haendel, vi rimane ancora oggi, grazie proprio alla lingua italiana. Comunque un maestro o un esecutore italiano mantennero sempre un fascino irraggiungibile, nella Londra dei Re, teatro delle lotte fra quelli che furono considerati i maggiori sopranisti europei, come il Senesino e Farinelli, Faustina Bordoni e Francesca Cuzzoni. Le regine del melodramma di quegli anni furono sempre motivo di interesse e pettegolezzo. La Cuzzoni e la Bordoni furono anche protagoniste sulla scena di un duello a suon di sberle! La Compagnia degli Italiani e quella di Haendel divennero addirittura oggetto delle liti familiari del Re e del Principe del Galles!
Tra le opere serie più famose, si ricordano Agrippina su libretto del Cardinal Grimani di Venezia; Rinaldo su libretto di Giacomo Rossi; Lotario e Radamisto, su stesura poetica di Nicola Francesco Haym; Giulio Cesare e Siroe su libretto del Metastasio; Orlando dall’Ariosto; Muzio Scevola su testo di Paolo Antonio Rolli; su testo di Antonio Salvi si ricordano Ariodante e Sosarme.
Mirella Golinelli