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Nuovi pozzi per i karimojong d’Uganda

N. 101- Giugno 2025

 

 

 

Nuovi pozzi per i karimojong d’Uganda

La prima volta che arrivai a Moroto, capoluogo della Karamoja nell’Uganda nordorientale, mi accolsero dicendo “welcome to the dust” benvenuto nella polvere. Polvere che si solleva dalla terra rossa tipica di molte zone dell’Africa.

Terra rossa di cui sono fatte le strade, rossa, dicono gli Africani, per il sangue versato dai tanti dittatori che si sono avvicendati e di cui anche l’Uganda è stata vittima.

Nel giro di pochi anni, però, la strada principale della cittadina è stata asfaltata e con la strada è arrivata anche la “civilizzazione”. Tutto questo ricorda un po’ il far west americano, dove, con l’avanzata della ferrovia, anche le altre attività e comodità sono arrivate.

Ma la strada principale è una, mentre tutte le altre strade rimandano al tempo antico. Sì, perché gli abitanti di questa terra, i karimojong, popolo di pastori-guerrieri sono ancora legati alle tradizioni ancestrali.

I karimojong appartengono ai popoli niloti delle pianure (nella letteratura antropologica di un tempo venivano chiamati NILO-CAMITI), che alcuni secoli fa si spostarono dall’Etiopia verso sud.

Secondo la tradizione diversi popoli quali i Masai, i Turkana e i Karimojong vivevano un tempo insieme sul Moru Apolon, un altopiano che si erge sulla pianura Turkana. I Masai si sono spostati successivamente al confine con il Kenia e la Tanzania mentre i Karimojong si sono stabiliti tra il massiccio del Moroto e del Napak l’attuale Uganda del nord-est.

Gli inglesi colonizzatori avevano chiamato in maniera dispregiativa questa realtà “lo zoo umano”.

I karimojong, pastori-guerrieri, normalmente si vestono con una semplice coperta, il nakatuko, e girano armati di coltello, arco e frecce. Non disdegnano di fare razzie di bestiame, attività considerata necessaria e quindi socialmente accettabile.

Per ridurre le razzie, il governo centrale ha militarizzato la regione inviando 12.000 soldati ben armati, ma senza raggiungere grandi risultati.

Lo stile di vita di questo popolo pastorale non è molto cambiato nei secoli. Essi vivono nei villaggi, manyatte nella lingua locale, costituiti da capanne di terra con il tetto di paglia e recintati con acacie spinosissime poste a difendere il villaggio dai nemici. Gli animali vengono ricoverati al centro del villaggio e vivono a stretto contatto con le persone.

Si tratta di un popolo fiero e legatissimo alle proprie tradizioni. I matrimoni vengono celebrati per saldare i legami tra tribù diverse. Il futuro marito deve dare un contributo di animali, tipicamente 50-100 capre, alla famiglia della sposa. Normalmente la famiglia è composta da più mogli e numerosi figli. La donna deve procreare, altrimenti viene ripudiata. La donna stessa, causa la pressione sociale, sente il dovere di procreare figli per sentirsi realizzata.

La vita difficile dei Karimojong è una specie di roulette russa, basta una spina, un serpente, una zanzara infetta per morire giovane. Si cerca allora di creare una rete di appoggio. Utile allo scopo è lo scambio di doni, una pratica molto usata che nasce da un interesse reciproco. Ad esempio, il matrimonio serve per accrescere il numero di persone che possono aiutare in caso di necessità. Se un guerriero muore, uno dei parenti prenderà la sposa con tutti i figli, magari come seconda o terza moglie.

La vita nel villaggio è durissima, senza corrente elettrica e con l ‘acqua disponibile solo dai pozzi realizzati dalla cooperazione internazionale, ma che alle volte sono distanti chilometri dal villaggio. L’agricoltura è poco sviluppata a causa della terra poco fertile e della pioggia, che si concentra in una sola stagione ed in maniera estremamente irregolare.

Non hanno un sistema fognario né tantomeno un sistema di raccolta dei rifiuti. La plastica, diffusissima, si accumula in ogni luogo e in particolare nei letti dei torrenti normalmente privi d’acqua e questo costituisce un vero dramma con l’arrivo delle piogge.

Le attività della cooperazione internazionale (in questa zona opera intensamente Africa Mission – Cooperazione & Sviluppo, Institute for International Co-operation and Development C&D) cercano di dare un po’ di sollievo a queste popolazioni soprattutto con la costruzione di pozzi, gestione delle acque, sviluppo di un’agricoltura sostenibile nel rispetto delle tradizioni locali e formazione dei giovani.

Andrea Bertini

Per saperne di più: https://www.africamission.org/ e
Institute for International Co-operation and Development (C&D)
https://www.codev-international.com/en/

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