Mangiar per mare: una storia curiosa
Fra le ricorrenze dell’Italia in divisa, (ogni Corpo militare ha la propria) quella della Marina cade il 10 giugno, istituita, come per altri Corpi, il 13 marzo 1939. Giornata celebrata quindi nella data da poco trascorsa, come ogni anno. L’occasione ha fatto tornare alla mente un interessante argomento, afferente all’ambito della logistica, del quale poco si conosce sia dal punto di vista culturale che organizzativo: il cibo in navigazione. Un contatto risalente già a diversi anni fa con il Contrammiraglio Alessandro Pini (purtroppo mancato poco tempo dopo l’incontro), che aveva ricoperto importanti incarichi in ambito nazionale, ONU e NATO, autore del “Vademecum per una corretta nutrizione del personale a bordo delle Unità della Marina Militare”, ha consentito di scavare nella storia del cibo nella marineria di diversi popoli.
Quando si vuole enfatizzare l’età di un fenomeno, si usa spesso dire che “le origini si perdono nella notte dei tempi”. Espressione usata ed abusata, entrata nel lessico quotidiano forse più per il gusto di indugiare sulle sfumature auliche della frase che non per il trascorso temporale effettivo. Nel caso in questione, però, il senso della frase è del tutto reale, poiché il mangiar per mare ha formato una vera e propria tradizione dall’Arca di Noè alle moderne unità navali. La storia della consumazione del cibo a bordo delle navi parte dunque da molto lontano. Icona la galletta, seppur non sia stata il primo cibo entrato nelle antiche cambuse. Date le particolari condizioni di permanenza in mare, i primi naviganti realizzarono ben presto che gli approvvigionamenti dovevano avere la caratteristica fondamentale della lunga conservazione, insieme ad un’apprezzabile capacità di fornire nutrimento ed energia. Pertanto, prima della galletta salirono a bordo il pesce essiccato, la carne di montone essicata (ca. 3000 a. C.), la frutta secca e altri generi alimentari scelti e sperimentati nel tempo. Tornando alla nostra “icona”, il suo nome forse deriva dal provenzale gal (ciottolo) e infatti la consumazione di quel “biscotto”, che ha fatto veramente chissà quante volte il giro del mondo, prevedeva un ammorbidimento preliminare di 36÷48 ore in acqua tiepida con aceto e olio per poter essere poi mangiato. La sua preparazione richiedeva un’esperienza non comune in fatto di impasto e lavorazione, solo attraverso i quali si poteva pervenire al requisito della lunga conservazione. Ritrovamenti di reperti antichi del “biscotto” (a Candia nel 1821 sono stati trovati integri alcuni biscotti lasciati dai Veneziani nel 1669, cioè dopo 152 anni!!!) testimoniano la sua presenza in tempi di gran lunga precedenti a quelli relativamente moderni che la cultura generalista comunemente gli attribuisce. E, dunque, anche la galletta ha iniziato presto l’avventura per mare. Alimento-elemento di congiunzione in pratica di tutte le marinerie del mondo, è ancora cibo di assoluta importanza durante la rivoluzione della nautica avvenuta nel Medioevo, ma cede in qualche modo le armi (non tutte però) solo nel 1876, con l’avvento del frigorifero a bordo, allorchè da attore primario diviene scorta di emergenza.
Un’altra parola tipica e storica delle mense militari, sia in mare che in terra, è il rancio. Il termine mutua dallo spagnolo “rancho”: capanna, riunione di persone, camerata di soldati, come riportato dalle Ordinanze della Marina toscana dal 1804. L’attenzione verso tale importante momento comune dell’equipaggio, nel tempo acquisisce regole e modalità. Dopo circa un secolo, nel 1913, viene istituita la prova del rancio, cioè l’assaggio da parte del Comandante, del Comandante in seconda, dell’Ufficiale d’Ispezione o dell’Ammiraglio (se imbarcato) del cibo che sarà consumato dall’equipaggio. Se non corrispondente a determinate caratteristiche, questo non passava il controllo e non solo non veniva servito, ma rimandato pure indietro per essere riconfezionato. La storia del rancio di bordo è un vero e proprio viaggio nel sapere dell’alimentazione, lungo il percorso della marineria e attraverso le consuetudini e i rituali che ancora oggi sopravvivono fin dal 1861, anno di costituzione della Regia Marina. Uno studio di antichi testi, manoscritti e immagini dell’Ufficio Storico della Marina Militare Italiana, curato dal suddetto Contrammiraglio Pini, illustra come i marinai di tutti i tempi hanno affrontato il problema del mangiare per mare. Dai Sumeri agli Egizi, dai Fenici ai Greci, dai Romani ai Vichinghi, nel Medioevo, ai tempi delle Repubbliche Marinare e dei grandi navigatori (Colombo, Magellano e Cook), della Francia di Colbert, della Marina Pontificia, dell’Ammiraglio Nelson, delle invenzioni del XIX secolo, fino alla Regia Marina e all’attuale Marina Militare. Una storia che, oltre al “semplice” aspetto dell’alimentazione quotidiana, svela le problematiche legate alla conservazione dei cibi, alla possibilità e modalità di cucinarli in situazioni avverse, agli spazi ristretti, ai flagelli di malattie quali lo scorbuto e la pellagra dovute a carenze vitaminiche causate da scompensi alimentari, fino alla comparsa a bordo delle figure del cuoco, del barbiere, del chirurgo, del mastro bottaio, del personale addetto al controllo della cucina e scienziati specializzati in studi alimentari e accertamenti sanitari. Un percorso durante il quale mano a mano sparisce il “focolare”, le navi vengono fornite di cucina, compaiono gli impianti di refrigerazione e ventilazione, insieme a distillatori di acqua dolce. Una storia lunga oltre 5000 anni quella dei ranci di bordo della marineria, del Mediterraneo e non solo, che assume un carattere culturale del tutto singolare. Ad esempio, il menù: il menù è una finestra aperta su un’epoca storica ben definita, sui costumi, le usanze, le mode, in sintesi tutti gli aspetti socio-culturali che la caratterizzano. Il menu è invenzione recente: il termine che oggi utilizziamo deriva dal latino “minutus” (lista, elenco) ed era, in origine, l’appunto che il capocuoco o il maggiordomo stilava ogni giorno presso il sovrano, il nobile, il padrone di una casa aristocratica, in base alla disponibilità della dispensa, del mercato e della propria creatività. Il menù, come lo conosciamo oggi, nasce ufficialmente solo nel 1810, quando il principe russo Alexandre Boris Kourakin – ambasciatore straordinario e plenipotenziario di Russia a Parigi – nella sua residenza di Clichy, impostò per la prima volta i suoi pranzi abolendo l’abituale presenza di tutti i piatti contemporaneamente in tavola a disposizione dei commensali, ma facendoli uscire in successione prestabilita dalla cucina, trasformando così il tipo di servizio da quello noto come “alla francese”, a quello che sarà il servizio “alla russa”, oggi divenuto quasi la regola. Nel tempo, i menù hanno assunto anche una veste grafica a seconda dei luoghi e dei momenti, relativi anche a eventi di rilevanza internazionale, come, ad esempio, la numerosa presenza dei marinai italiani in Cina durante la rivolta dei Boxer a inizio 1900. Ve ne sono belli esteticamente, altri ricchi gastronomicamente, alcuni semplici e frugali, altri ironici come uno che correda le presenti note.
Il “mangiar per mare” non è solo un quadro del come si mangiava e si mangia a bordo, ma la sintesi della storia, della cultura e delle vicende di un ambito particolare, perché mangiare per mare non è cosa semplice. L’ambiente particolarissimo, un clima spesso infido, le difficoltà di conservazione hanno da sempre costituito le principali sfide dei marinai di tutti i tempi, come testimoniato da tutti i più noti autori di narrazione di mare (Melville, Stevenson, Kipling, Verne, Salgari, Conrad, London, Goldoni e Coleridge), che hanno evidenziato la semplicità e la frugalità dei marinai, identificandoli nel corso dei secoli per la galletta immersa nella zuppa, per l’odore di cucina che li rivestiva, per il rhum sempre vicino, per il mangiare scomodo, rapido, senza concessioni alla gola. Oggi molto è cambiato, ma resta comunque la necessità della preparazione del cibo in spazi ristretti, il condizionamento dei fattori atmosferici, la consumazione in fretta tra una guardia e l’altra, il carattere di convivialità in un ambiente ridotto qual è la Nave, dove le attività sociali vengono drasticamente condensate e, più importante di tutti, il fatto che il mangiare rimane una delle poche attività piacevoli possibili e assume un ruolo compensativo di un complesso di “vuoti” determinati dal distacco dal proprio ambiente di vita. Curiosità: nel menù del 1941 che correda le note figurano due tipi di vino. Le due aziende fornitrici sono tuttora esistenti e operative. Il mare, per l’economia dell’Italia, costituisce un ambito importante. Il mare è un grande contenitore che accomuna tutta la famiglia marinara, militare, mercantile e civile, e tutti coloro che sul mare e con il mare lavorano.
Roberto Aguzzoni
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Nella foto in alto, La prova del rancio di bordo sulla Nave “Zara” (anni Trenta, 841 uomini di equipaggio), preliminare tuttora in essere nella nostra Marina Militare.