L’arte della moda a Forlì

“La moda non è un qualcosa che esiste solo sotto forma di abiti. La moda è nel cielo, nelle strade, la moda ha a che fare con le idee, il modo in cui viviamo, ciò che accade” sosteneva Coco Chanel.
La moda ci circonda e stranamente riguarda tutti, anche coloro che pensano di non averci a che fare. Essa trae origine dalla propensione dell’essere umano a desiderare di appartenere ad un gruppo sociale. Sfruttando l’impulso innato di unirsi agli altri, proprio come gli animali, l’essere umano, attraverso la moda, assume tratti che lo rendono più simile alle persone che lo circondano. Questa inclinazione è intrinseca e spontanea: la moda è sempre esistita. Oggi pensiamo principalmente all’abbigliamento, ma essa può manifestarsi in molteplici sfaccettature: rappresenta un modo di vivere, pensare ed esistere, strettamente legato a un’epoca o a una società, e per sua natura è effimera, passeggera e fugace. Seguire la moda rappresenta il più grande atto di conformismo dell’individuo, spesso in contrasto con la sua unicità.

Fino al 2 luglio il Museo Civico San Domenico di Forlì ospita l’esposizione “L’arte della Moda” che mette in rapporto -come evidenzia il titolo- l’arte con la moda: dalla Rivoluzione Francese alla Pop Art, fino ai giorni nostri. Più di 200 capolavori artistici e 100 abiti si fondono in un’imponente esposizione, dialogando tra loro: la moda creata dai grandi artisti; l’abito che plasma, cela, maschera o esalta il corpo; l’abito come segno distintivo di uno stato sociale o identificativo di una generazione; a moda come opera d’arte e comportamento; l’arte come narrazione e come riflesso dell’epoca.
Ideata e realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì e il Museo Civico San Domenico, diretta da Gianfranco Brunelli e curata da Cristina Acidini, Enrico Colle, Fabiana Giacomotti e Fernando Mazzocca, si avvale altresì del lavoro di un prestigioso comitato scientifico presieduto ad honorem da Antonio Paolucci.
Si comincia con il mito della tessitura, raccontato a metà Cinquecento dal Tintoretto, attraverso le figure di Atena ed Aracne, e si arriva lentamente all’oggi attraverso quadri, tessuti, abiti, accessori, gioielli, acconciature, e quant’altro il desiderio del bello abbiano offerto a chi se lo poteva permettere.

La mostra di Forlì – scrivono gli organizzatori (e chi visita conferma!) – è un vero e proprio “kolossal” da gustare con molta calma per non uscirne stremati. Dietro ogni pezzo esposto c’è un ragionamento socio-economico oltre che estetico.
“Mai come nel Novecento –spiega Gianfranco Brunelli nell’Introduzione – le vicende della moda si sono confuse con i temi della politica, del cambiamento sociale, della cultura, assumendo, oltre il gusto e la funzione, il ruolo autonomo, espressivo di ideologie e sentimenti, movimenti e aspirazioni. Non solo stile. Ma un più profondo processo generazionale, che determina l’etica dei comportamenti. Un sistema strutturale che trasforma l’oggetto commerciale in parola, linguaggio, segno, simbolo. Il lusso dell’oggetto diviene lusso di parole, in un rapporto nuovo tra l’indumento-immagine e l’indumento- parola: nel Sistema della moda, Roland Barthes individua nel vestito, oltre le interpretazioni psicologiche, la sua funzione etica, cioè la capacità di produrre valori sociali che attestano il potere creativo della società su se stessa”.

Se l’associazione tra abbigliamento e ruolo sociale è presente in tutte le civiltà strutturate, il principio di cambiamento costante della moda rappresenta l’effetto di un lungo processo storico e segna l’inizio della modernità. Gli stili si evolvono e i materiali si trasformano. Si aprono nuove possibilità produttive. La ricerca dei materiali rivoluziona il mondo della produzione e del commercio, arrivando alle soluzioni tecnologiche attuali. Con la diffusione di queste innovazioni, cambiano anche i linguaggi e le modalità di comunicazione.
Durante quasi tutto il XX secolo, i principali “legislatori” della moda, i trendsetter, sono stati i designer stessi, che reagivano ai cambiamenti nella società. Così, dopo la Seconda guerra mondiale, Christian Dior capì che era necessario offrire alle donne qualcosa di diverso dagli abiti noiosi e sobri; ispirandosi alla Belle Époque, creò nel 1947 il suo famoso e iconico stile New Look. Negli anni ‘60, la moda, in risposta ai sentimenti dei baby boomer, fece una svolta decisa dal New Look e dagli abiti formali verso la mini, i colori vivaci e i tagli geometrici.
La mostra forlivese racconta anche il passaggio dalla primazia francese nel settore alla felice concorrenza portata dai creatori italiani, tanto che il “fashion”, insieme a “food” e “furniture” è uno dei pilastri del made in Italy e della nostra bilancia commerciale.
Anna Shkapa