La ragazza di Savannah compirebbe 100 anni

Mary Flan ha cent’anni. Ne ha passate tante, tra polli, pavoni, incomprensioni e stampelle, malattie e amori mancati. Le avevano detto che la terribile malattia che le portò via l’amato padre, Edward, non era ereditaria. Non sapevano, i dottori, che quello stesso lupus eritematoso sistemico ci avrebbe strappato via Mary Flan, nel 1964, a soli 39 anni. Due anni in meno di quando se ne andò Edward. Bastarono però perché ottenesse già in vita fama. E furono sufficienti perché noi potessimo continuare a incontrarla oggi attraverso 32 racconti, due celebri romanzi, alcune prose d’occasione e più di cento recensioni di libri. Per tutti era ed è ancora oggi Flannery O’Connor, “la ragazza di Savannah” che ci viene straordinariamente raccontata da Romana Petri, in un’avvincente e deliziosa biografia romanzata.

Chiunque conosca anche solo qualcosa di Flannery, non può non restar stupito da questa biografia e dubitare che sia “romanzata”. E lo stesso effetto produce comunque in chi nulla sappia della ragazza di Savannah. Romana Petri fa venir voglia di tornare a incontrare questa donna. E dev’essere accaduto qualcosa del genere a lei stessa: questo non è un racconto, è un incontro appassionato. Minuzioso, documentato, raccontato con uno stile che molto si avvicina a quello della stessa O’Connor.
Certamente si possono percepire alcune invenzioni – il delizioso inizio di Mary Flan bambina che vuol prendere a pugni e a calci l’angelo custode – ma appaiono così appropriati, questi spunti narrativi, a ciò che sappiamo della scrittrice americana, che finiamo per considerarli autentici. Non è una invenzione comunque che da bambina, a soli 6 anni, Mary Flan riuscì ad insegnare ad un pollo a camminare all’indietro ed ebbe già allora un po’ di notorietà. Resta il fatto che fin da piccola non aveva una fede timida. Da adulta la viveva incarnata. Sapeva di doverla sperimentare attraversando il territorio del diavolo. E molti passaggi dell’opera della Petri ce la restituiscono, mettendo in bocca a Flannery parole audaci ma reperibili in tante sue lettere o conferenze.
“Sai, penso che nessuno creda in Dio più del Diavolo” gli disse. “Accogliamo dunque la sua testimonianza. Se non conosci il Diavolo, come fai a incontrare Dio? Tu lo sai, mi intendo di poche cose. Ma so capire ciò che porta l’uomo verso Dio e ciò che il Diavolo briga per attirarlo a sé”.
La durezza e l’asprezza di certi suoi racconti continuano a disturbare alcuni ancora oggi, così come le suscitarono critiche in vita. Che razza di cattolicesimo era il suo? La domanda è legittima ma rischia di sorgere prevalentemente in chi pensi che il cattolicesimo sia una religione di solo miele e carezze. È ancora la Petri che le fa dire, nella sua biografia: “Lo sai perché i miei racconti sono duri? Perché non c’è niente di più duro e meno sentimentale del realismo cristiano.”
La ragione di questo realismo è messa in bocca anche ad alcuni protagonisti che appaiono nelle pagine de “La ragazza di Savannah”:
“Dal poco che mi ha fatto leggere del suo romanzo, posso dirti che questa ragazza scrive pagine di piombo e fuoco.”
“E credimi” gli rispose la moglie, “non ci sarà verso di convincerla a fare diversamente. Ha una sola realtà in testa, l’Incarnazione. E scrive perché è cattolica, non sebbene lo sia. Dai lei mi aspetto l’incendio”.
La fede realista e incarnata di Flannery era tale che ad una cena con conoscenti agnostici o protestanti che sostenevano essere l’eucarestia solo un simbolo, replicò diretta: “beh, se è solo un simbolo che vada al diavolo”.

Non faceva sconti, Flannery, ma coltivava amicizie e corrispondenze profonde, oltre ad amare i suoi pavoni. Amò molto, non ripagata dagli uomini, e anche in questo capitolo sofferto della vita della ragazza di Savannah, la Petri ci accompagna con straordinaria umanità.
In ogni caso, la biografia regalataci dalla scrittrice romana non è una lettura difficile e aspra. Al contrario commuove, fa sorridere con pagine ilari, come del resto era acuta e ironica sapeva essere, nella sua ficcante intelligenza, Flannery. Deliziosi, ad esempio, i momenti in cui la madre, Regina, chiede dietro l’uscio alla figlia: “che dice l’Aquinate?”. La O’Connor s’era messa a studiare a fondo Tommaso d’Aquino, leggendolo quasi ogni sera.
Le ricorrenze centenarie – Flannery nacque nel 1925 – possono a volte suonare retoriche, stanchi rituali. Non è questo il caso. Lo prova il successo che la fatica letteraria della Petri sta incontrando, al punto da stimolare riedizioni delle opere di Flannery O’Connor. È dunque l’occasione, quest’anno, per un doppio incontro: con la ragazza di Savannah e con Romana Petri.
Gianni Varani