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Emergenza peste suina in Italia

N. 92- Settembre 2024

 

 

 

Emergenza peste suina in Italia

Non è una notizia nuova, ma dopo due anni e mezzo dal primo focolaio e dopo tre commissari straordinari comincia a diventare preoccupante. La peste suina africana è stata individuata per la prima volta in un allevamento italiano nel 2022 e siamo arrivati a fine agosto 2024 con 24 focolai (18 in Lombardia, 5 in Piemonte, 1 in Emilia-Romagna), 50 mila maiali abbattuti (quando si trova un maiale infetto in un allevamento bisogna abbattere tutti i capi) e qualche bacchettata dall’Unione europea per interventi non adeguati ad arrestare l’epidemia.

Sgombriamo subito il campo da qualsiasi fraintendimento: la Peste suina africana (Psa) non si trasmette in nessun modo all’uomo (e neanche agli animali domestici), per cui si possono mangiare carni, salsicce, salumi e quant’altro di buono viene dai maiali, senza nessun rischio. Ma la Psa è letale per tutti i suini, dai cinghiali ai maiali. Il virus è micidiale, soprattutto per la sua resistenza. Appositi test hanno dimostrato che può sopravvivere sotto la suola di una scarpa fino a 17 giorni.

Per combatterlo efficacemente bisogna quindi stendere un adeguato cordone sanitario, che fermi i contagi, alzando barriere contro gli animali selvatici, ma anche bloccando le possibilità di passaggio del virus da allevamento ad allevamento.

Purtroppo, le cose sono partite male dall’inizio. In Lombardia, dove si alleva quasi il 50 per cento dei suini italiani, nel 2022 in un allevamento di Vernate (Milano) si è cercato di tenere nascosta l’epidemia, sotterrando le carcasse di una ventina di maiali infetti, senza fermare il via vai degli animali e delle persone dentro e fuori l’azienda, contribuendo così a diffondere l’infezione e mettendo in crisi uno dei comparti più importanti dell’agroalimentare italiano.

Giusto per dare la misura di cosa stiamo parlando, diamo qualche numero: in Italia il settore suinicolo è composto da 10 milioni di capi; tra allevamenti e trasformazione vale 10 miliardi di euro; dà lavoro a cento mila persone. Tra prosciutti salumi e cotechini vale il 15 per cento della produzione a denominazione di origine.

Se prosciutti cotti e stagionati non comportano problemi, salumi e carni fresche sono invece a rischio per cui Cina, Giappone, molti Paesi del Sud Est asiatico e alcuni Paesi dell’America Latina hanno bloccato le esportazioni con un danno che l’Assica (l’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi) valuta tra i 20 e i 30 milioni di euro al mese, circa 500 milioni di euro fino ad oggi.

Si è mossa anche l’Unione Europea (nel 2023 ben quattordici Stati membri sono stati interessati da casi di Psa) che a luglio scorso ha inviato in Italia l’Eu Veterinary Emergency Team che ha esaminato sul campo, insieme con gli esperti italiani, le misure messe in atto per contrastare l’epidemia. Il giudizio non è stato lusinghiero. Poco coordinamento tra i vari enti (provincie/regioni), poche risorse, ritardo nelle recinzioni per arrestare i cinghiali, mancanza di una strategia generale.

Dopo le dimissioni a fine luglio di quello che era già il secondo commissario straordinario, in agosto è stato nominato il nuovo commissario nella persona del direttore generale della Sanità animale del ministero della Salute, Giovanni Filippini, il quale ha già annunciato che applicherà alcune buone pratiche apprese durante il Covid. Attorno agli allevamenti verranno realizzate recinzioni, barriere, filtri e zone pulite, con nuove metodologie gestionali, una su tutte la disinfezione degli indumenti di chi entra ed esce dagli allevamenti trasportando i mangimi. Il tutto senza dimenticare anche una attenta gestione dei cinghiali.

Certo è che la peste suina africana è in Europa già dal 2014 ed è stata rilevata in Italia per la prima volta nei cinghiali in Liguria e Piemonte nel gennaio 2022. C’era forse modo di prepararsi in tempo e meglio. Adesso bisognerà correrle dietro.

Giuseppe Di Paolo

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