Coimbra, il nemico in biblioteca
Si vive una volta soltanto.
Ma chi l’ha detto?
Senza orientaleggiare e discutere di reincarnazione, possiamo occidentalizzare e affermare con Umberto Eco che, chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Perdipiù avrà abitato pochi luoghi, casa/ufficio/pizzeria.
Chi legge non possiede libri ma è posseduto dai libri. Dunque, posseduto, vive altre vite offerte dai libri. Dunque, posseduto, può meditare ritorsioni col conte di Montecristo (“Pazzo fui a non strapparmi il cuore il giorno in cui giurai di vendicarmi”), può innamorarsi col dottor Zivago (“Lara: -Sarebbe stato bello incontrarci prima- Zivago: -Anche di un giorno, sì-”), può incistarsi nell’eterna giovinezza con Dorian Gray (“Quelli che scendono sotto la superficie, lo fanno a proprio rischio”), può cacciare testardamente la balena bianca (“Laggiù soffia! La gobba come un mucchio di neve! È Moby Dick!”), può schifarsi esteticamente della dittatura, come Pereira, per poi denunciarne gli abusi con articoli di giornale (“Tutta l’Europa puzza di morte”) eccetera eccetera.
Chi legge visita tanti luoghi, molti preclusi dalla logica. Io, ad esempio, sono stato a Luz, città dell’immortalità, nascosta in una cavità sotto un mandorlo. Luz è color dello zaffiro e lì l’Angelo della Morte non può penetrare.
Sono stato anche nell’Agartha, mondo sotterraneo le cui ramificazioni si estendono dappertutto, sotto i continenti e gli oceani. Tramite un tam tam tra i paesi del sottosuolo si stabiliscono contatti fra tutte le regioni della Terra. L’Agartha è popolata da discendenti dell’antica dinastia solare Surya-vansha: il loro sovrano è il Re del Mondo, legislatore primordiale e universale, intelligenza cosmica che riflette la luce spirituale pura e formula la Legge, il Dharma. Tuttora si scende nell’Agartha da bocche sparse in tutto il mondo, a Samarcanda, nell’isola d’Ischia, a Lhasa, a Tula (sud di Mosca) …
Poi sono stato a Shangri-La, monastero abbarbicato al monte Karakol e preceduto da un bacino su cui le foglie di loto, vicinissime le une alle altre, danno l’impressione di un pavimento di umide piastrelle verdi. Orlano la grande vasca leoni di bronzo, draghi, liocorni. Quindi si sparpagliano pagode rosse dai tetti d’oro, sporgenti e concavi. Ogni pagoda racchiude tesori che direttori di musei si contenderebbero a suon di superdollari: ceramiche azzurro-perla Sung, pitture a inchiostri colorati con mille anni di vita, porcellane dai riflessi blu-polvere, lacche che raccontano fiabe. I monaci dicono di cercare la saggezza (presunzione?) e lo fanno credendo nella moderazione (questo stempera la presunzione). Governano anche i villaggi a valle predicando proprio la moderazione: non troppo potere, non troppa sobrietà, non troppa virtù.
Coimbra è costruita a torta nuziale: uno strato largo sotto, uno intermedio più ristretto e una fetta sommitale più piccola. Nello strato basso, solcato dalla pedonale Rua Visconde da Luz, si susseguono palazzi alti e stretti. Negozi vendono ceramiche disegnate/gelati artigianali/scatolette di sardine. Ristoranti servono capra vecchia cotta, insieme a patate, in un vino rosso emorragia: ottimo piatto che relega il Canavacciuolo a direttore di rancio di caserma. Studenti nel completo accademico, giacca/pantaloni/mantello neri, cantano e suonano fado (guitarra portoguesa/viola spagnola/basso). Il fado è una malinconia raffinata, la sensazione contemporanea di appartenere e di non appartenere al mondo.
Nello strato di mezzo troneggia la cattedrale Sé Velha, massiccia, severa, merlata come una fortezza. Interno a tre navate, dalle essenziali forme romaniche. Sull’altar maggiore retablo fiammingo. Da destra si transita nel chiostro, del primo periodo gotico (1200).
La cima di Coimbra è spianata da una vasta corte, Patio das Escolas, coronata su tre lati dagli edifici dell’antica Università. Le costruzioni sono di un bianco che fa venire la congiuntivite. Il quarto lato è una balconata sulla valle del fiume Mondego.
L’ala est è il Collegio di São Pedro.
Il palazzo centrale, anticipato da un loggiato manierista, è residenza del Rettore e racchiude la Sala dos Actos (soffitto ligneo del 1655 e ritratti di sovrani portoghesi), la Sala das Armas (sede della Guardia Real Academica), la Sala dei Vescovi (luogo deputato agli esami universitari, con raffigurazioni dei rettori dal 1537).
L’angolo a nord-ovest è chiuso dal campanile del 1733, conosciuto come torre das cabra, o semplicemente “capra”. Il nome gli è attribuito dagli studenti per i rintocchi che li chiamano all’inizio delle lezioni.
Sull’ala di ponente è scolpito un portale manuelino, ingresso alla deliziosa Cappella di São Miguel (1517). Le pareti del coro e della tribuna sono rivestite da azulejos azzurro-cielo marzolino, di ispirazione olandese. Gli altri azulejos, fatti a Lisbona, sono di azzurro più pallido, quasi intriso dal sole chiarissimo della capitale. L’organo sporge dal muro di destra e pare appeso con gigantesca ventosa: rococò, con 200 canne di cui alcune orizzontali come fucili pronti a un’esecuzione, decorato da chinoiseries.
In fondo all’ala occidentale sta la Biblioteca Joanina, gioiello di Coimbra e, perché no, del mondo intero.
La gerarchia architettonica di Coimbra vede pertanto una base dedicata alla vita ordinaria e al commercio; poi una zona superiore presidiata dalla cattedrale che richiama alla religione, ai testi sacri e ai dogmi; poi un sito ancora più alto con l’Università e la Biblioteca, i luoghi del sapere magmatico e vario.
La Biblioteca Joanina, barocca, occupa tre grandi sale, ornate con intagli laminati in oro (tecnica della talha dourada) su fondi verdi, rossi, neri. Soffitto affrescato a trompe-l’oeil. Scaffalature in palissandro e mogano, suddivise in piano terra e piano di sopra, guarnito di balconcino retto da colonnine e accessibile con scale nascoste nella boiserie. Poderosi tavoli intarsiati piantonano i centri delle sale.
La Biblioteca, costruita tra il 1717 e il 1728, conserva 300.000 volumi, la maggior parte stampati nei secoli XVI, XVII e XVIII.
A me qualsiasi biblioteca innesca la LIBRIDINE, libido di tutti i sensi accesa proprio dai libri. Gli occhi mi saltellano gioiosi sui dorsi dei volumi, che ammiccano con colori diversi. Leggo titoli e autori e mi esalto: estraggo le pubblicazioni dagli scaffali e le sfoglio pregustando i loro effetti: godimento di una prosa fluida (Proust), tremore di una poesia elettrica (Rimbaud), condivisione di umane cupezze (Kafka), odore sulfureo di diavolo (Bulgakov), incanto del mare che dà alla testa (Stevenson), suono di profezia (Orwell) eccetera eccetera.
Scrive Virginia Woolf: “Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine”. Concordo: la biblioteca è il paradiso, in quanto nella grande libreria si può leggere un libro e senza soluzione di continuità leggerne altri. Nella biblioteca la bibliofilia si tramuta in estatica BIBLIOFOLLIA.
Anche se l’opinione che più mi piace sulle raccolte di libri è quella di Marguerite Yourcenar: “fondare biblioteche è ancora un po’ come costruire granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”. Trovo questa frase perfetta. C’è il concetto di degrado, “l’inverno dello spirito” /c’è la ribellione sommessa, “mio malgrado” /c’è la metafora dei granai, che non sono puro accumulo, ma hanno funzione sociale poiché “pubblici” /e quell’ “ancora” ci suggerisce che a 2700 anni dalla biblioteca di Ninive, a 2300 anni dalla biblioteca di Alessandria, a 2200 anni dalla biblioteca di Pergamo, il compito di salvare il cuore dei libri è tutt’altro che finito.
Il pomeriggio del 7 settembre 2024 entro nella biblioteca di Coimbra. L’abbraccio dei volumi in pelle marrone è affettuoso. Verifico le indicazioni di una guida locale a nome Pedro, che sono poi quelle della descrizione che ho già fornito.
Poi mi incuriosisce un uomo seduto a uno dei tavoloni con un grande libro aperto. Il signore ha mascella da bulldog, pelle nocciola e chioma ruvida color juta. Mi siedo di fronte a lui e a bassa voce gli chiedo:
-Che sta leggendo? –
–Libro tibetano dei morti, ma non leggo per leggere- mi risponde il lettore che dunque non è lettore.
-Se non legge, che fa? – m’informo.
-Combatto il nemico più grande, che è anche il più piccolo-
-Un rovello interiore? – azzardo.
-No, ogni giorno esamino un libro antico e tra le sue pagine cerco il bastardissimo, il tarlo CARTIVORO-
Pedro, la guida, esce insieme ai miei compagni di visita. Io rimango seduto e domando:
-Il suo nome, signore? –
-Jorge Luis-
Cerco conferma:
-Il tarlo è proprio terribile? –
-Il tarlo si mangia qua e là una lettera, oppure porzioni di lettere che, amputate, si convertono in lettere diverse. Le parole diventano incomprensibili o magari cambiano di significato- racconta Jorge Luis.
-Davvero terribile- convengo.
Cari lettori, ammettete con me che, se una sola parola cambia all’interno di una frase, si può alterare il senso della frase stessa. Poniamo ad esempio che in una proposizione ci sia la locuzione “scaricatore di porto”. Se il tarlo, servo del potere della fame, morde il pezzo di sopra della t di porto… e il pezzetto smozzicato si ripiega in giù… allora la t si muta in n… allora lo scaricatore di porto si trasforma in uno scaricatore di porno… il che pone un problema: lo scaricatore di porto potrebbe anche essere uno scaricatore di porno ma uno scaricatore di porno, se non ha un fisico muscoloso, non può fare lo scaricatore di porto.
-Il tarlo è diffuso in molti libri? – chiedo.
-Tutti i volumi sono ostelli per il tarlo ubiquo-
Jorge Luis gonfia le vene della fronte come torrentelli al disgelo. Impreca:
-Il tarlo è mannaro, marrano, eretico, avvoltoio sulla carogna del leone, stupratore di parole, onda di mare che cancella la lettera di un nome scritto sulla sabbia, cecchino annidato nei risvolti della legatura-
Prende fiato:
-Il tarlo è lubrico coccodrillo addentatore, killer mistificatore, mescolatore di carte, bocca cannibale di Mike Tyson, verme appestatore-
Provo a intervenire:
-Possibile che non esista una polvere, un’essenza nebulizzata, una tossina invisibile che ammazzi il tarlo? –
Replica Jorge Luis:
-Per le tarme ci sono mescolanze di lavanda/canfora/timo/rosmarino/chiodi di garofano che le stroncano. Per le tarme arriva il giorno del TARMAGEDDON. Per il tarlo no-
Jorge Luis gira la pagina del libro che sta esaminando.
-Eccone uno! È il settimo della giornata – digrigna il cacciatore di tarli.
Non noto niente.
-È lì che rosicchia una o- rivela Jorge Luis.
-Lo schiacciamo? – chiedo.
Jorge Luis schiocca le dita. Dall’alto piomba giù un pipistrello che si appoggia sul tavolo e dà una beccata al Libro tibetano dei morti.
-I pipistrelli sono i giustizieri del tarlo- afferma soddisfatto Jorge.
Guardo in su e nell’angolo del soffitto vedo una macchia nera svolazzante: una colonia di pipistrelli.
Lettori cari, chiamerei Batbook ogni pipistrello-difensore di libri. Le caratteristiche da Batman le lascerei a Jorge Luis, vero combattente del tarlo-Joker. Dice Joker: “Io sono un agente del caos. Solo il caos è equo”. Jorge Batman Luis è la barriera dell’ordine contro il caos. (In ogni caso nessun pipistrello può chiamarsi Robin perché, come canta Cesare Cremonini, in questo mondo di eroi nessuno vuole essere Robin).
Mi dice ancora Jorge Luis:
-Porterò il libro al restauratore con le istruzioni per ripristinare le 7 lettere distrutte dai 7 tarli scovati oggi-
-Il testo originale sarà salvaguardato- approvo.
Jorge Luis si pizzica la guancia e mi squaderna:
-Ho notato una cosa riguardo alle lettere mangiucchiate nel libro esaminato in giornata-
-Sarebbe? –
-Le lettere danneggiate sono in sequenza una l, una a, una g, una y, una e, un’altra l e una o-
-La successione compone il termine LAGYELO- annoto.
-Sì, LAGYELO in tibetano sta per “gli dèi hanno chiamato” – traduce il cercatore di tarli.
Jorge Luis se ne va col libro sottobraccio.
Io rimango ancora un po’ seduto nella biblioteca che sta per ospitare una nuova visita guidata.
Sul mio taccuino appunto che, a Coimbra, al di sopra del mercato, al di sopra della chiesa madre, al di sopra della biblioteca apicale, c’è un essere più potente, lo spietato tarlo del sapere scritto.
Carlo Maria Milazzo