Anche il “bue rosso” adorava Gesù nel Presepe
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C’è un pezzo di gloria reggiana nelle più antiche rappresentazioni del Presepe dell’arte italiana, fin da Giotto. Il bue che – assieme all’asino- scalda il piccolo Gesù nella mangiatoia di Betlemme è di una razza particolare, antenata delle vacche rosse, che oggi producono il più pregiato parmigiano reggiano. Ne è certo Gabriele Arlotti, giornalista ed esperto di produzioni animali, che presenta un suo nuovo libro dedicato al tema: “Le Rosse, madri del Re – La razza Reggiana e il valore del suo Parmigiano Reggiano”.
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Il volume è edito da Mup Editore per conto dell’Associazione nazionale allevatori di razza reggiana (Anaborare). L’opera contiene illustrazioni originali di Mauro Moretti, con foto di Silvano Sala e Ines Conradi, affronta la storia e le più recenti scoperte su questa razza che ha dato i natali al Parmigiano Reggiano (ma anche al Furmaìn, la formaggetta fresca considerata PAT -prodotto agricolo tradizionale, che si realizza nei caseifici del parmigiano reggiano).
“Nelle riproduzioni artistiche pittoriche con tema la Natività e l’Adorazione dell’Italia centro-settentrionale degli ultimi dieci secoli, si possono facilmente individuare gli antenati di questi bovini, riscontrando la presenza del colore del loro mantello associato ad altri tratti somatici che caratterizzano, ancora oggi, le vacche Rosse”, spiega Gabriele Arlotti.
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La tesi è suffragata dal critico d’arte Vittorio Sgarbi. Tra i grandi autori che misero il Bue rosso nella Natività ci sono Duccio di Buoninsegna, Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Andrea Mantegna, Botticelli, Giorgione, Tintoretto e Caravaggio. Si arriva sino allo scrittore Giovannino Guareschi che alla vacca Bionda dedicò un racconto e un olio su legno.
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Se l’origine genetica delle vacche rosse reggiane, dall’uro capostipite, non è ancora chiaramente delineata (pur con molte interessanti ipotesi), è vero che già lo storico ed agronomo romano Marco Terenzio Varrone scrisse di bovini dal pelo di colore rossiccio e rosso pallido e che il riferimento a tali animali si trova in carte del ricchissimo archivio dell’Abbazia di Marola. Lo stesso in cui per la prima volta, in una pergamena redatta il 13 aprile del 1159 viene indicato il termine “formadio”, progenitore dell’odierno formaggio.
Di bovini a manto “fromentino”, cioè biondo-rossiccio, è piena la storia dell’arte italiana. Dalla Natività di Caravaggio, clamorosamente rubata nel 1969 dall’Oratorio di san Lorenzo a Palermo. A quelle di Mantegna e Masaccio (la trovate in apertura di questo articolo).