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Sils Maria, la perla di Nietzsche

N. 87- Marzo 2024

 

 

 

Sils Maria, la perla di Nietzsche

In Engadina i monti non ti sorridono, anzi sogghignano all’altezza dei ghiaioni che fanno da corona ai boschi. Le caprette non danno confidenza e dunque non ti fanno ciao, nemmeno se tiri loro polpette di sale. Nel paesino di Grevasalvas, frazione di Sils a 1940 metri, il nonno di Heidi è sempre scorbutico. Heidi ha quella risata immotivata che echeggia esagerata. Il cane Nebbia esce solo col Freddo cane.

Eppure la Bassa Engadina ostenta bellezza già entrandovi da est, dove la carreggiata si infossa nelle gole scavate dall’Inn. Le rocce nerastre hanno sfumature rosa ed alcune sono rifinite da castelli in stile “conte Dracula”. Devono per forza esserci dei campi da golf in cima a queste rupi: mentre si percorre la strada ombreggiata, palline bianche e sibilanti sorvolano il tettuccio e, nel caso forassero il finestrino, potrebbero essere letali.

A Zernez l’Engadina, oltre a diventare Alta, si apre in una vallata molto ampia. A sinistra il Bernina collabora al panorama col ghiacciaio azzurrino. A destra le grigie Alpi dell’Albula tracciano l’elettroencefalogramma di un gigante appisolato. Dalla stazione di Pontresina occhieggiano quei vagoni rossi che, sulle rotaie del mio trenino Lima di bambino, deragliavano regolarmente.

L’asfalto, che sembra rifatto da tre ore, corre diritto. La segnaletica è lucidata col Mastro Lindo. Il compagno di viaggio diventa il fiume Inn, la cui sorgente in quota, a una trentina di km, è invisibile. Ma giù, in valle, l’Inn si gonfia rapidamente coi torrenti che rigano di verde menta i pendii montuosi. L’Inn ha poi un colore tutto suo, un verde acqua marezzato d’argento; e lo mantiene anche negli Stati che bagna successivamente, Austria e Germania (qui, per compiutezza geografica, l’Inn sta attraversando in orizzontale il Cantone svizzero dei Grigioni).

Inn è comunque il nome storpiato dai tedeschi. La lingua locale lo denomina En, che vuol dire semplicemente acqua. E, sempre secondo la parlata indigena, En-giadina sarebbe il giardino dell’acqua (in effetti l’Inn forma nei dintorni 618 laghi)

Su piste sterrate che costeggiano la via cantonale procedono carretti trainati da cavalli arancioni, con criniere platinate: trasportano turisti vestiti di velluti eleganti. A Saint Moritz si può entrare solo se sei un lavorante degli alberghi/dei ristoranti/dei negozi di lusso; oppure se sei al volante di una Porsche e dal finestrino abbassato fai luccicare il Rolex ciclopico =) per cui si va di lungo fino a Sils, appena a sinistra della strada principale.

Sils, 1800 metri s.l.m., è divisa in due borghi, Sils Baselgia e Sils Maria. Questo secondo nucleo di 300 abitanti è tra i responsabili del mio disagio engadinese e del conseguente sarcasmo verso la zona. È a Sils Maria che Friedrich Nietzsche trascorre le estati dal 1881 al 1888. E alcuni scritti di Nietzsche, mezzo secolo fa, mi hanno scatenato terrore.

Nietzsche, a giugno, fugge da Basilea, dove insegna lingua e letteratura greca. La vita accademica lo stressa fino a procurargli emicranie violentissime: il clima soleggiato e secco di Sils gli cancella le dolorose cefalee.

Da Sils Friedrich scrive alla sorella Elisabeth: “Qui mi trovo nel posto di gran lunga più confortevole della terra e provo un’ininterrotta tranquillità e nessuna pressione”. In un’altra lettera definisce Sils la sua “perla perlissima”. E in un altro appunto ancora afferma che “in un’era frettolosa e sudaticcia abbiamo bisogno di un luogo dove riscoprire la filologia, che è la cura amorevole delle parole, un leggere lento”.

Le case di Sils Maria sono in pietra imbiancata con la calce. La chiesa è di banalissima architettura, il campanile tozzo e sgraziato.

Le stanze affittate da Nietzsche sono sempre le stesse, all’interno di una casa a due piani, di proprietà del sindaco. Imposte celesti, gerani rigogliosi sui davanzali, tendine ricamate.

Il filosofo trascorre molto tempo in una camera al primo piano, con un tavolo su cui si affratellano fogli da lui scritti e libri che si è portato dietro (ogni anno almeno 100 kg). La sua solitudine è profonda. Che rapporti potrà mai avere con gli abitanti di Sils che parlano un incomprensibile romancio, il ladin putèr? (Per un italiano o per uno spagnolo il ladin è forse più capibile in quanto somiglia a un miscuglio di ferrarese e catalano). I residenti di Sils si incrociano poi da tempo tra di loro ed oltre a qualche difetto fisico, tipo polpacci a bocce di pesce rosso o facce mascellute da bovari, anche i neuroni non devono avere sinapsi brillanti per questionare col cervellone di Friedrich. Le oche inseguono il tedesco per beccarlo. I bambini, con le guance da Heidi color coca-cola, lo fissano come fosse un alieno: che cosa dovrebbero pensare dei suoi baffi che sembrano uno schnauzer attaccato sotto il naso? E come potrebbero giustificare uno che va in giro per mulattiere incravattato e pettinatissimo?

Nietzsche coltiva poi quotidianamente l’isolamento: ogni giorno cammina solingo per tre ore, raggiungendo il lago di Silvaplana, di uno stranissimo verde caraibico, oppure il lago di Sils, di un celeste velato. Le marmotte mandano fischi acutissimi per avvertirsi del passaggio del camminatore baffuto.

Oppure il filosofo attraversa boschi di pini cembri, dai rami all’insù/macchie di abeti rossi con cortecce che paiono sporche di vino/foreste di larici che in autunno sembrano uno stravaso di tintura di iodio. A volte il pensatore deutsch è sovrastato dal “serpente del Maloja”, un lungo e sinuoso bruco-nuvola, a mezza altezza. O magari capita che Friedrich venga sospinto in su dal “vento notturno che soffia a mezzogiorno”, un flusso che spira dal basso verso l’alto. Una delle mete preferite è la valle di Fex.

Ciò che una decina di lustri fa mi ha scombussolato è la prefazione di Nietzsche al saggio “Al di là del bene e del male”, scritta a Sils Maria nel giugno 1885. Friedrich afferma: “ci sono buone ragioni per sperare che in filosofia ogni dogmatizzare possa essere soltanto una bambocciata e una cosa da principianti. I filosofi dogmatici hanno finora edificato superstizioni popolari tramite giochi di parole, seduzioni della grammatica e generalizzazioni di fatti umani, troppo umani”. Rincara il tedesco: “L’errore più ostinato e pericoloso dei filosofi dogmatici è stata l’invenzione platonica del puro Spirito e del Bene in sé. Platone nega il carattere prospettico basilare di ogni vita”.

Io deduco che Nietzsche imputi a Platone la centralità dello Spirito, praticamente un arco unico da cui può essere scoccata qualche freccia con guinzaglio: la freccia raggiunge un bersaglio, ma viene poi recuperata fino al grande Bene dello Spirito.

In quel tempo io ho evidentemente una concezione platonica del cosmo. Ho una visione monistica che riconduce a un fondamento unitario dell’universo, fondamento da cui partono e a cui tornano le esperienze. Tutto dipende da un’esclusiva origine divina, Bene in sé, e quindi tutto è spiegabile in senso univoco.

Dallo Spirito può partire una freccia che infilza un’anima e poi colpisce il mantello di un corpo e infine coglie la ciliegina di un Io. A un certo punto tutto lo spiedino viene tirato indietro fino al punto d’avvio.

Si suole dire che con Nietzsche Dio è morto. In effetti non occorre nemmeno fare l’autopsia: se si toglie lo Spirito, una delle componenti della trinità divina, Dio è per forza cadavere.

Il maledetto dubbio che allora mi insinua Friedrich è che un uomo partorito dallo Spirito e ridestinato allo Spirito non avrà mai una vera libertà d’azione. La libertà non potrà mai sussistere in un sistema dogmatico.

Che senso ha una vita eterna che fa lo yo-yo tra due punti?

E poi, uno Spirito come motore immobile non marcisce nello stagno in cui ha sede?

Il mio turbamento è profondo. In più Friedrich, sempre da Sils, mi cala l’asso di briscola: “Per creare bisogna sempre partire da una precedente distruzione”. E per uno come me che vuole creare Arte, diventa imprescindibile cancellare modelli pregressi e produrre un originale. Ma, chissà, si riescono a estinguere linguaggi già funzionanti?

Dormo a Sils Maria una sola notte dell’agosto 1977, all’hotel Waldhaus, con vista sul lago di Sils. Nonostante il disagio procuratomi dal filosofo desidero verificare questo suo aforisma: “Finché continuerai a sentire le stelle come al di sopra di te, ti mancherà lo sguardo dell’uomo che possiede la conoscenza”.

La cena in albergo propone i Capuns, piatto tradizionale a base di impasto di farina/uova/pezzetti di carne secca/tocchetti di landjager (insaccato affumicato), avvolto in foglia di bietola e bollito nel brodo. Non mancano cipolle e patate cotte nella loro giacca, quindi sbucciate e grattugiate. Birra Val Müstair Weizen, prodotta nel paesino di Tschlin: colore dorato profondo, schiuma generosa, dolcemente mielata.

Sotto una veranda attendo la notte, che non mi si presenta subito complice. Un acquazzone estivo viene incassato dai pini senza deflessioni.

Poi si alza un vento rapinoso che porta lontano brume e rintocchi del campanile. La luna-Houdinì si libera dalle catene delle nubi. E le stelle scintillano come secchiate di frammenti d’oro su seta nera, come se tutti i saldatori migrati dall’Italia si siano dati appuntamento in cielo, come se le lucciole abbiano deciso un jamboree europeo.

Da quella sera sento le stelle sopra di me come milioni di buchetti da cui filtra luce. Ma sento anche che le stelle sono conficcate dentro di me, spillette nel cervello e nei muscoli. E a volte fanno un giro per il mio sangue a cavallo dei globuli.

Da quella sera, caro Nietzsche, io rifiuto, grazie a te, l’idea di una verità che sia definibile in forma di dogma. Da quella sera io mi metto alla ricerca di una verità variegata, fatta di tante stelle in un cielo che non è mai uguale. E da quella sera, caro Friedrich, inizio a mitigare lo sconcerto delle tue parole antiplatoniche.

PRIMA scritta a margine: negli anni mi faccio diverse idee dello Spirito, nessuna volutamente conclusiva. Per un periodo mi sfagiola la descrizione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli: “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano gli Apostoli. Apparvero lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”

Ecco, la possibilità di parlare un Verbo inconsueto è la prerogativa che lo Spirito conferisce. Il possesso della Parola, quella che all’inizio è solo presso Dio e che rimane l’enorme sforzo primigenio della divinità, è una concessione dello Spirito. Con lo Spirito si possono elaborare anche nuovi Verbi, di bellezze così divine da essere compresi da molti.

Gli Atti degli Apostoli raccontano che, dopo il fragore ventoso, una folla eterogenea si raduna davanti agli Apostoli, i quali sono tutti Galilei. Si riuniscono Elamìti, Parti, Medi, abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto, della Frigia, della Panfilia, dell’Egitto, cirenei libici, stranieri di Roma, ebrei, Cretesi e Arabi. Ognuno dei presenti riconosce: “Odo annunziare nella mia lingua le opere fatte da Dio”.

Dunque, gli Apostoli, dotati di Spirito, parlano un linguaggio universale relativo all’operato divino.

SECONDA scritta a margine: al momento mi piace ancora pensare con Platone che Spirito e Bene in sé coincidano.

Però sono del parere che lo Spirito non sia più una matrice ferma a cui dover fare ritorno. Lo Spirito è fatto dagli individui dotati di Spirito e quindi è sempre in divenire. Gli individui intrisi di Spirito possono, in piena libertà e con visione prospettica, costruire il Bene in sé.

TERZA scritta a margine: che cos’è il Bene in sé? È questa la domanda più difficile che si possa proporre.

Dice Nietzsche: “C’è una tracotanza nella bontà che si presenta come malvagità”.

Dice il profeta Isaia (5, 20): “Guai a coloro che chiamano bene il male”.

Dico io: in questa epoca (passatemi il termine) arimanica, il diavolo mente dicendo la verità. Uno stesso nucleo di parole può demarcare il bene oppure il male.

Dice Italo Calvino: “Occorre saper riconoscere in mezzo all’inferno che cosa non è inferno, e dargli spazio”.

INFINE: Nella nostra galassia ci sono 400 miliardi di stelle e nell’universo ci sono 100 miliardi di galassie. Non è facile sentirsi individui, perfino in evoluzione verso Spirito e libertà. Non è facile nemmeno sentirsi un Bene-Stella originale che collabora a un firmamento bellissimo. Però non è nemmeno impossibile, magari dopo una notte a Sils Maria.

Carlo Maria Milazzo

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