Si torna a scuola, per saper pascolare le pecore

È la più antica forma di allevamento di animali domestici, fatta all’aria aperta e spesso in modo transumante lungo percorsi più o meno lunghi. In realtà gli esperti distinguono la pastorizia dall’allevamento perché la prima si svolge sul territorio, mentre il secondo avviene nel chiuso delle stalle.
Se gli allevamenti oggi non mancano, sono invece quasi scomparsi i pastori, quelli che portavano principalmente pecore, capre e bovini, ma anche suini e cavalli, al pascolo su per le balze dei monti o nei prati di pianura. Si tratta di un impoverimento non solo per la perdita di una tradizione, ma anche di un presidio del territorio.

Sarà stata la pandemia del Covid, che ha fatto riscoprire il lavoro all’aperto, sarà stato il desiderio di fuga dalle città, sta di fatto che la tendenza sembra si stia invertendo. È così che il Crea (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Economia Agraria), in collaborazione con Appia (rete della pastorizia italiana), il Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), l’Università di Torino e altri enti nazionali e locali, ha dato vita dal 2021 alla Scuola nazionale Pastori (Snap).

L’Italia si allinea così ad altre nazioni europee, come Francia e Spagna, che già da tempo hanno percorsi specifici di formazione. I corsi italiani si articolano su tutto il territorio nazionale e in questi primi tre anni hanno preso il via in Piemonte e Lombardia, Sardegna, Toscana e Sicilia.
Secondo Luca Battaglini, professore del dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino e fra i fondatori della rete Appia, l’Italia, dalle Alpi alla Sicilia “ha avuto purtroppo una serie di impoverimenti sui territori alpini o appenninici: riduzione delle aziende, abbandono dei territori e perdita di biodiversità. Grazie al ritorno di una pastorizia qualificata e formata è possibile rigenerare questi territorie rilanciarli in chiave turistica e culturale”.
Coloro che in questi primi tre anni si sono candidati a seguire i corsi della Snap, spiega Daniela Storti, coordinatrice per il Crea del progetto “Formazione e Accompagnamento per Giovani Pastori” (Piemonte e Lombardia) “sono persone molto giovani, anche di venti anni, che si trovano a un bivio nella vita, che hanno finito gli studi, che avevano intrapreso un percorso lavorativo diverso e si sono sentiti attratti da questo mondo, o anche figli interessati a portare avanti la tradizione di famiglia”.
L’obiettivo principale, dicono i promotori, è mantenere la presenza dell’uomo nelle aree interne, soprattutto montane, dove lo spopolamento ha portato a fenomeni di degrado sia delle specie vegetali, sia dell’assetto idrogeologico. Quando non sono più frequentati, i pascoli finiscono con il peggiorare la loro qualità, mentre si impoverisce la biodiversità, con la scomparsa di fiori e vegetazione di cui gli animali (con il loro brucare e i loro escrementi) favoriscono la riproduzione.
Inoltre, la presenza dell’uomo salvaguarda il mantenimento di fossi e canali che in zone montane sono fondamentali per regimare efficacemente le acque ed evitare quei fenomeni di smottamento e frane che poi si ripercuotono pesantemente a valle.
Il tutto senza dimenticare che la pastorizia salvaguarda anche la biodiversità animale e alimentare, con l’allevamento di razze locali e la produzione di alimenti di qualità (formaggio, burro e latte di alpeggio hanno sapori e caratteristiche uniche) che diversamente sarebbero destinati a scomparire.
La cosa interessante è che la scuola può articolarsi secondo le esigenze delle varie regioni italiane. Oltre a quelli già avviati, facendo riferimento al Crea c’è la possibilità di promuovere nuovi corsi in territori specifici dove la pastorizia è ancora presente o in via di rinascita.
Giuseppe Di Paolo