Roma, la Madonna del popolo

La Madonna non ti viene a cercare. Devi reperirla tu, spesso in luoghi defilati.
Se sei nella Disperazione che ti sta togliendo dimensione e dignità di uomo, devi decidere di rintracciarla, a scopo preghiera. La distanza tra te e la tua umanità rischia di diventare incolmabile. È tempo di una specialista in miracoli.
Come sei arrivato alla Disperazione?
Forse un desiderio molto forte, che vale la vita stessa, continua a non realizzarsi/oppure sei distrutto da un lutto inaccettabile/oppure sei disastrato da una malattia tosta/oppure sei letteralmente alla fame (sei denutrito, magro come un palo da lap-dance. I topi si sono iscritti a Greenpeace a forza di trovare la tua credenza vuota. La dignità di uomo, vabbè, è incenerita, ma rischi seriamente di sparire proprio come uomo).
Nell’ordinario si pensa, nello straordinario si prega. Nell’eccezionalità si diventa devoti. La devozione dimentica il razionale. La devozione non vuole più investigare la verità ma prenota una concessione.
Se sei a Roma, in disgrazia, puoi snidare la Madonna dei Pellegrini. Per giungere a lei devi introdurti in un labirinto che respira di tanto in tanto in piazze spettacolari o in piazzette gentilmente raccolte: Piazza della Rotonda col Pantheon, piazza della Minerva, piazza Navona, piazza Pasquino, piazza Colonna, piazza di Montecitorio, piazza Collegio Romano, piazza Grazioli, piazza San Salvatore in Lauro, piazza Sant’Ignazio, piazza di Sant’Apollinare….
Su piazza Sant’Agostino si impone la chiesa omonima, costruita tra il 1479 e il 1483. La facciata, ispirata alla basilica di Santa Maria Novella di Firenze, è da alcuni attribuita a Leon Battista Alberti. L’edificio è costruito col travertino proveniente dall’Anfiteatro Flavio/ha tre portoni, uno centrale più grande e due laterali simmetrici/è anticipato da una gradinata ampia e dolce, fiancheggiata da parapetti in pietra su cui asciugano i panni lavati di un barbone.
(Se giungi agli scalini da morto di fame, non irritarti alla vista dei due colloquianti sul sagrato: il priore largo quanto un confessionale e la suora cicciona che, da piccola, come girello usa il Colosseo con le ruote).

Entrando, ti rivolgi alla prima cappella di sinistra e, avendola, infili una monetina nella scatoletta metallica che accende l’illuminazione: lei appare, ovviamente piena di grazia.
La Madonna dei Pellegrini, da 400 e rotti anni, è ferma sulla soglia di casa, col figlio in braccio. Sembra uscita apposta per far prendere aria al bambino e magari approfittare per scambiare due chiacchiere con le donne delle soglie vicine. Ha un viso italiano con naso e sopracciglio diritti, ad angolo retto. I capelli neri tendono ad avvolgersi in ricci piccoli. La bocca è seria, da madre concreta. La testa è reclinata, la gola e la spalla sono sbiancate da una luce che irrompe a spezzare la penombra.
La cappella è acquistata nel 1603 dagli eredi del notaio bolognese Cavalletti e tutt’ora porta il nome del casato emiliano. I Cavalletti commissionano a Caravaggio una pala d’altare che riproduca il miracolo del trasferimento della casa di Maria da Nazareth alle terre marchigiane di Loreto. Probabilmente i richiedenti si aspettano angeli in volo che reggano una casupola ocra, con dentro una Madonna avvolta dal tradizionale mantello blu. Invece, con il beneplacito dei frati agostiniani, si trovano davanti lo scorcio di un palazzo romano, con lo stipite di travertino e l’intonaco escoriato.
La Madonna non possiede nulla della iconografia sacra: non ha il bambino sulle ginocchia, non è nemmeno in piedi con le braccia aperte come a voler abbracciare gli oranti, non ci sono rose a farle da tappeto e il seno non sta allattando. La Madonna è una bellezza bruna, con blusa di velluto vinaccia e gonnellona di seta color prugna; tiene in braccio un pupone di almeno due anni e per reggerlo si aiuta con la coscia leggermente flessa.
La Madonna è Lena Antognetti, di anni 23, e fa la vita, battendo in piazza Navona. È così seducente che Caravaggio ne è stregato così come perdutamente affascinato ne è il notaio Pasqualone di Accumoli (per lei notaio e pittore vengono alle mani e Caravaggio, dopo la lite, ripara a Genova per scampare l’arresto). Il bambino ritratto è Paolo, figlio di Lena e di un vagabondo infossato in qualche galera.
La Madonna è corpo, carne, sostanza come testimonia la sagoma scura dell’ombra proiettata sul muro. L’aureola non la santifica ma la adorna come un monile che stia per appoggiarsi sui capelli.
La Madonna raccoglie subito l’approvazione degli abitanti del rione Campo Marzio, tanto che una cronaca del tempo racconta di un “estremo schiamazzo” quando la tela viene scoperta. La Madonna, a cui ogni popolano si rivolge con dialogo diretto, con supplica confidenziale, con la dolcezza o la fermezza che si riservano a un’amica, è veramente tangibile dal momento che è sempre stata vista per strada.
Il quadro non comincia comunque con Lena, ma con un deretano. In primo piano si palesano le chiappe di un pellegrino in ginocchio, con la stoffa dei pantaloni che si tira sui glutei (anche nella Crocifissione di San Pietro, nella cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo, la prima inquadratura di Caravaggio è per il posteriore del crocifissore). Si tratta di realismo schietto o di impertinenza dell’autore? Forse entrambe le cose: nessuna retorica da viaggio mistico si addice a un pellegrino che arriva dalla Madonna coi piedi scalzi e luridi, con la barba di giorni e giorni, con la camicia penzolante dalla cintura. E in più Caravaggio è irriverente, provocatore, inadattabile a ogni educazione: quindi non si fa scrupoli a esibire un culo in bellavista.
Anche la donna inginocchiata mostra i segni di un pellegrinaggio lungo e faticoso: il viso è scavato dalla stanchezza, la sua cuffia è sdrucita e ingrigita.
Dal punto di vista strutturale, nel quadro è evidente una linea diagonale a partire dalla quale il pittore imposta l’opera: la linea parte dal volto del bambino, che assume così massima importanza, attraversa quindi il corpo e la gamba sinistra del piccolo, prosegue nelle mani giunte del pellegrino, poi solca il suo busto e la sua natica per raggiungere il suo piede destro nell’angolo della tela. Di qua dalla linea stanno dunque il pargolo e il pellegrino che gode dell’accessibilità al Dio bambino: i due si toccano, stabiliscono un contatto. Di là dalla linea rimangono i volti delle donne, Lena e la viandante inginocchiata, cui non occorre sfiorarsi per sancire una unione.
Volendo, si può ravvisare il ventaglio che la linea diagonale crea con lo stipite della casa e con i due bastoni dei genuflessi. Questa seconda disposizione comunica un senso di ariosa apertura nella quale confluiscono tutti e quattro i protagonisti del quadro.
Bene. Torniamo ora alla tua Disperazione di implorante.
Se sei davvero disperato, sei come i pellegrini della tela di Michelangelo Merisi: sei così in ginocchio che rischi di perdere l’equilibrio e sbattere il mento in terra. Sei così malandato che le rughe ti intarsiano il volto e i piedi s’incrostano. Sei così dipendente dal miracolo e così fiducioso nella Madonna che non staccheresti mai le mani giunte.
E la Madonna a cui ti affidi deve essere una Signora che ti ascolta attentamente, che empatizza coi tuoi danni mentali e viscerali, che, pur reggendo il bambino, si protende verso di te, che ha tutta la tua umanità. La Madonna dei Pellegrini di Caravaggio è la tua Madonna a misura d’uomo disperato.
Carlo Maria Milazzo