Quattro tenori da ricordare

Sono ben quattro le grandi voci maschili delle quali ci dobbiamo ricordare in questo 2021. Ricorre infatti, il centenario della morte di Enrico Caruso, il famoso tenore di Napoli, nato nel 1873. Tutti i cantanti che sono destinati ad entrare nella storia, iniziano esibendosi in una Chiesa, cantando l’Ave Maria di Schubert o l’Agnus Dei di Bizet. Così fu anche per Enrico, le cui buone basi (inculcategli dai suoi due maestri Schirardi e De Lutio), gli permisero a soli 21 anni, di cantare nella sua città, portando sul palco il titolo “l’Amico Francesco” di Mario Morelli. A poco a poco i ruoli di genere leggero lasciarono quindi spazio a quelli lirici o drammatici. Caruso, acclamato protagonista, dei 48 anni di vita che gli furono concessi – perché mori nel 1921 di pleurite infetta – ne cantò oltre la metà, cioè 27. Ebbe la fortuna di intonare nei Teatri più importanti del Mondo, per quei tempi e fu proprio il Metropolitan ad accoglierlo per ben 863 recite, nei 17 anni dal 1903 al 1920. Non mancarono il Covent Garden di Londra, il Colon di Buenos Aires e la Scala. Con grande costanza arricchì il suo repertorio, poiché il suo organo vocale si era irrobustito, acquisendo quello “spessore” che gli permise di assicurare al suo pubblico grandi soddisfazioni, ricambiate ovunque con gesti di forte apprezzamento.

Franco Corelli nacque a Pesaro nel 1921 e si affermò in un concorso bandito dal teatro lirico sperimentale di Spoleto. Ebbe un inizio di carriera del tutto simile a quello dell’altro grande tenore italiano stella del Metropolitan newyorkese, Marcello Giordani, morto di un infarto fulminante nell’ottobre del 2019, all’età di 56 anni.
Corelli divenne presto un artista – divo, imponendosi nei ruoli belcantistici belliniani; con la scuola dell’altro grande tenore Giacomo Lauri Volpi (1892-1979) mise in evidenza la sua facilità alla zona acuta e piena di voce. Per questo motivo eccelse in alcune opere del repertorio verdiano, come Trovatore ed Aida. Si spense a causa di un ictus nel 2003.

Giuseppe di Stefano, come tutti i “veri cantanti” studiò a Milano, essendo questa piazza, ricca dell’offerta dei grandi maestri. Il successo gli arrise nel 1946, all’età di 25 anni, nel ruolo del cavaliere Des Grieux, nella Manon di Massenet, allestita presso il teatro di Reggio Emilia. Per gli anni a seguire e sino al 1953 prestò la sua splendida forma vocale agli impianti scenografici del Metropolitan. Fece pure la fortuna di titoli moderni, come ad esempio “Il calzare d’argento” di Ildebrando Pizzetti. Il suo timbro vocale e la semplicità a modulare la voce per ottenere vibranti interpretazioni lo resero eccelso nelle opere dei maggiori compositori italiani e francesi del periodo ottocentesco; tra questi Bellini, Verdi e Bizet.

Mario Lanza, statunitense di origine italiana, morì a soli 38 anni,per un’embolia polmonare che potrebbe aver avuto due cause. La prima: una flebite agli arti inferiori. La seconda: lo smodato uso di gonadotropina per dimagrire e mantenere quel bell’aspetto che oltre alla duttile vocalità gli consentì di fare anche tanto cinema. Nel trentennale (1951) della scomparsa di Enrico Caruso, interpretò il film “Il grande Caruso” incoraggiando così molti giovani, ad imparare l’arte del “bel canto”.
Mirella Golinelli