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Ponte Morandi. L’OCSE l’aveva detto…

N. 88- Aprile 2024

 

 

 

Ponte Morandi. L’OCSE l’aveva detto…

Ieri, 14 agosto 2021 è stato il terzo anniversario del tragico crollo del ponte Morandi a Genova, che ha fatto 43 vittime e lasciato senza casa 256 famiglie. Mentre la ricostruzione è andata avanti spedita, con l’inaugurazione il 3 agosto del 2020 del nuovo ponte, sta per prendere il via anche il processo, con l’udienza preliminare fissata il 15 ottobre prossimo.

Senza voler entrare nelle indagini e negli accertamenti delle responsabilità, di competenza della giustizia, proviamo qui a fare alcune considerazioni sulla situazione di strade e trasporti stradali. La questione ovviamente non riguarda solo l’Italia e non è un problema recente.

Lo dimostra l’attenzione puntata su strade e trasporti stradali dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (Ocse) fin dagli anni ’80 del secolo scorso. L’Ocse è un’organizzazione internazionale di studi economici cui aderiscono 57 Stati di tre continenti, Nord America, Europa e Asia; ha sede a Parigi e svolge prevalentemente un ruolo consultivo e di confronto delle esperienze politiche per la risoluzione di problemi comuni, l’identificazione di pratiche commerciali e il coordinamento delle politiche locali e internazionali dei paesi membri.

Nel 1983, un gruppo di esperti scientifici dell’Ocse, realizzò Il rapporto Remise en état et renforcement des ouvrages d’art, recherche en matiére de routes et de transports routiers (Ristrutturazione e rafforzamento delle strutture ingegneristiche, ricerca su strade e trasporti stradali) in cui evidenziò il problema della manutenzione delle opere stradali nei Paesi aderenti (a quel tempo erano 24, tra cui l’Italia e i principali Paesi europei).

A quarant’anni di distanza lo studio è ancora attuale e mette l’accento sulla necessitò di un impegno per preservare il patrimonio delle strutture esistenti e per sviluppare linee guida generali per politiche di ristrutturazione e rafforzamento.

Secondo la ricerca, la portata degli importanti programmi di costruzione di strade e autostrade degli anni ’60 e ’70 aveva mascherato l’aumento dei costi di manutenzione e ripristino di tutte le strutture esistenti. Ma poiché all’inizio degli anni ’80 si era registrato un rallentamento generale degli investimenti in nuove opere, gli esperti ritenevano necessario “dare priorità alla manutenzione e alla gestione efficace del patrimonio delle opere esistenti”.

Un numero aiuta a definire l’importanza del problema: lo studio stimava in circa un milione il numero dei ponti di più di cinque metri di portata esistenti nei Paesi dell’Ocse (la metà negli Stati Uniti, circa 30 mila in Italia). “Un gran numero di questi – si legge nel rapporto – ha superato l’età in cui la manutenzione ordinaria soffre per mantenere la loro vita utile o per adattarli alle crescenti esigenze del traffico moderno”. Traffico moderno che secondo gli esperti stava cambiando (e continua ancora oggi a cambiare) in termini di volumi, di peso trasportato, di vincoli ambientali ed economici.

L’assenza di risanamento o rafforzamento delle strutture esistenti, afferma il rapporto, “può aumentare il rischio di incidenti stradali e rappresenta un’occasione mancata di investimenti”. Con un’analisi che compenetra i problemi strutturali con gli investimenti economici, la ricerca afferma che “Manutenzioni e riparazioni insufficienti per un certo numero di anni porteranno rapidamente ad un aumento della quota di finanziamenti utilizzati per ‘tappare i buchi’ e quindi a uno spreco di fondi disponibili (in pratica: interventi tempestivi riducono i rischi, ma alla lunga anche i costi, ndr). Le soglie di intervento possono essere abbassate durante un anno difficile, ma se la ristrutturazione e il rafforzamento sono spinte su un periodo troppo lungo, le riparazioni d’urgenza indispensabili realizzate per rispondere agli imperativi di sicurezza si rileveranno rapidamente inefficaci. Diventerebbe allora necessario fare appello a dei programmi di sostituzione su larga scala, che comporteranno costi non correlati ai benefici”.

In sostanza, è la tesi degli esperti, interventi che “tappano i buchi” alla fine sono più costosi di interventi risolutivi di ristrutturazione e rafforzamento. In partica la ricerca dell’Ocse, già quaranta anni fa conteneva tutti gli allarmi e i suggerimenti necessari per evitare situazioni di disastro. Il ponte Morandi sembra proprio non essere stato una ineluttabile fatalità.

Giuseppe Di Paolo

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