Le sorprese di Riga
Ho sempre pensato il Baltico e gli stati che lo contornano sfumati da un sole che non bacia e si tiene a debita distanza. Ho immaginato quei luoghi avvolti da nebbiolina che se la respiri ti fa venire la tosse. Ho battezzato per quei posti un nuovo colore, il GREIGE (grigio + beige).
Dopo un soggiorno agostano a Riga mi ricredo. Giorni di sole pulito come ritirato dal lavasecco/ cattedrale fiammeggiante con le venature arancioni dei mattoni rossi/tetti spioventi verde menta/vecchie mura e chiese minori dal riflesso di rame/stradine spalleggiate da casette salmone, mandarino, blu polvere.
I Tre Fratelli sono un tris di caseggiati costruiti tra il 1480 e il 1640, dentellati nella parte superiore: il centrale è senape, i laterali bianco e verde tenue. Il municipio, nella piazza omonima è di un rosso vivo che fa il gradasso verso il rosso aragosta del contiguo Svabes nams. Sulla stessa piazza si slancia la torre della chiesa di San Pietro, con guglia barocca. La facciata dell’edificio riceve una flebo dal sole che la imbeve del suo giallo deciso.
In lettone il sole è saule, mentre il mondo in cui viviamo è pasaule, “nel sole” (sì, come il titolo della canzone di Albano Carrisi, di quando quel carciofo arrogante si mette con quell’orchidea rara di Romina Power).
L’aldilà è aizsaule (dietro il sole). Vinsaule è il sole dei defunti. La parola saule è di genere femminile, mentre la luna, méness, è maschile. Nella mitologia baltica Saule è una dea dai lunghi capelli che sono raggi di luce. Nelle composizioni poetiche chiamate dainas, la saule è spesso declinata nell’affettuoso diminutivo saulite: “Nella barca dorata siede/saulite in tarda sera/Al mattino presto, sorgendo/abbandona la barca alle onde”.
^^^Lo scrittore lettone Zigmunds Skujins racconta che nel 1789 il conte Cagliostro, detto anche il Gran Cofto, compare a Riga. Ha in prestito dal duca Pietro di Curlandia una carrozza imbottita di un velluto rubino e cedevole che avvolge i passeggeri come l’interno di uno scrigno. Cagliostro, paffuto, semicalvo ma con due pagnottelle di capelli sulle orecchie, viaggia insieme alla moglie Lorenza, regina di Saba. Su una carrozza meno regale seguono il moro Joe, vestito da cameriera (un/a genderfluid), il grasso cuoco bavarese, l’astrologo Mida, simile a un corvo arruffato, e la nana Fulla, alta tre piedi e due pollici. La nanetta si occupa degli animali che Lorenza ha sempre con sé in società: una colomba bianca, appollaiata sulla spalla, e una biscia color bronzo attorcigliata sul braccio. Due cavalieri in uniforme cremisi scortano scenograficamente i cocchi.
Il corteo si ferma in quella che oggi è Piazza dei Livi, lambita da un canale ora interrato. La meta è il palazzo della Gilda, sede già dal 1300 della corporazione dei mercanti. L’attuale aspetto della Gilda è neogotico inglese, risalente al 1856 ^^^
Altri colori della capitale e dei dintorni: l’estuario della Daugava è di un blu corposo. I giardini occhieggianti dappertutto brillano di verde fresco. Il mercato centrale è all’interno di cinque giganteschi hangar color crema, vecchi ricoveri di Zeppelin tedeschi: in estate spiccano piramidi di fragoloni grossi come tappi a fungo, onde viola di mirtilli, ceste di lamponi bugnosi.
Con venti minuti di treno si arriva a Jurmala, sobborgo affacciato sul Baltico che è un tappeto di argento. Camminando sulla bionda spiaggia, se si tiene lo sguardo in giù, scorrono sassi neri, rosacei, rossobruno, striati di grigio; la fortuna può regalare frammenti d’ambra.
^^^La Gilda ha una immensa sala per le riunioni dei commercianti, collegata in fondo al refettorio, frequentato anche dai francescani del vicino convento. Al primo piano una stanza con baldacchino, quadri, stufa e brocche è detta “camera degli sposi”: chi si unisce in matrimonio a Riga, può chiedere di passare lì la prima notte di nozze.
Cagliostro accede alla sala mensa nel pomeriggio, quando è deserta. Il moro Joe accende candele sui portalumi alle pareti e altre sul tavolone. Il conte si siede a capotavola e il/la cameriere/a gli pone davanti la sua sfera di cristallo.
Giunge la baronessa Waltraute von Bruggen. 28 anni, capelli neri furiosamente ricci e un unico ciuffo verticale che pare la dote di un unicorno. Volto roseo e zigomi alla mongola. Occhi macchiati di luna.
La giovane donna indossa calzoni da cavallerizza e stivali alti. Porta una cravatta a pois (come quella che molti anni dopo metterà Gilbert Bécaud). Fuma una sigaretta. Profuma di corteccia.
Waltraute è accompagnata da cugine e zii: è azzardato presentarsi da soli al cospetto dell’enigmatico e inquietante Gran Cofto^^^
Le dainas sono poesie in forma di quartine; a volte sono cantate con l’accompagnamento di salteri baltici, sorta di cetre. Parlano di tutto, della foresta/dei tartufi/delle bacche/dei soldi/della guerra/del tabacco/della lotteria/del vento/delle chiavi perse/del lievito per la birra. Una daina, ad esempio, invoca la mamma del mare: “Madre del mare, ascolta/Trattieni le tue serve/Avvolte in bianchi scialli/non mi fanno approdare”.
Alcune dainas sono rivolte a Dio (Dievs), chiamato col vezzeggiativo Dievins per sancire prossimità e affetto tra Lui e gli uomini. Dio non sta solo soletto sopra le nubi, onnipotente e distante: Lui è una presenza vicina, partecipe, casalinga. Dievins ha bisogno dell’uomo quanto l’uomo di Lui. “Dove starai, Dievins/quando noi saremo morti?/Non hai moglie, non hai figli/che a te vecchio diano il pane”.
^^^Rifacendosi agli scritti di Skujins, la baronessa Waltraute racconta: -Mio marito, tenente e barone Ebherard von Bruggen, ha combattuto contro i pagani turchi sotto la bandiera russa. Il comandante del suo reggimento mi informa tramite lettera che Ebherard è morto nell’ultima battaglia prima del trattato di pace tra Russia e Turchia. Centrato da un colpo di artiglieria, risulta sbriciolato, polverizzato, dissolto-
Cagliostro gira in su i palmi delle mani come a sottintendere: -E allora? –
-Possibile che non sia rimasta nemmeno una parte del corpo da seppellire cristianamente? Possibile che io non possa avere neanche un piccolo oggetto ricordo, che so, gli speroni o i bottoni o l’anello nuziale? – domanda la baronessa.
Il Gran Cofto fissa la palla di cristallo, recita formule con parole di lingue sconosciute. Gocce di sudore gli solcano la cipria sulla fronte e sulle gote. Poi il silenzio si fa profondo, favorevole dell’allerta sensitiva. Infine, con voce affaticata, Cagliostro afferma: -Il barone Ebherard vive, anzi ne vivono due-
Waltraute scossa l’obelisco da unicorno, poi viene sorretta dai parenti. In un soffio di voce si meraviglia: -Come sarebbe a dire……due? –
Il conte programma: -Baronessa, tra una settimana vi darò prove di quel che ho rivelato- E conclude: -La seduta è tolta. Vado a inaugurare la loggia egizia d’Adoption– ^^^
Colori: il quadrilatero di Elizabeth iela con altre tre vie, a nord est, è configurato da palazzi Jugendstil di inizio 900. Hanno tutti un contrasto binario: grigio e rosso, azzurro e sabbia, azzurro e bianco. Gli azzurri sono da isole greche, mediterranei più che nordici. Vetri, porte, balconi, cancellate sono opere di artigianato maniacale. Qualche finestra ad arco sorvola i piani superiori. Qualche torretta agghinda gli angoli. Sulle facciate si impongono effigi di Medusa, Apollo, Artemide, Pan/sculture di pavoni, aquile, leoni/statue di sirene, valchirie, pastorelle/bassorilievi di draghi e marmoree sfingi a lato di un ingresso.
L’architetto di quasi tutto è Michail Ejsenstejn, nato a San Pietroburgo da ebrei tedeschi, non troppo stimato per le sue costruzioni eclettiche (verrà declassato a ingegnere delle ferrovie). Michail è grasso: cintura lunga mezzo equatore/pelato/baffi grossi come pigne/occhi assonnati. Suona maluccio un pianoforte che sta a sinistra del tavolo da disegno pieno di matite, goniometri, compassi. Michail è padre di Sergej Ejsenstejn, famoso regista di Ottobre e de La corazzata Potemkin (film poco apprezzato da Fantozzi).
^^^Dopo una settimana, Cagliostro e la baronessa coi familiari si incontrano di nuovo nel refettorio della Gilda. Molti ceri con fiammelle zelanti. Il conte è affiancato da tale Attilio Bragadin che presenta come chirurgo veneziano e medico di guerra. A uno schiocco delle dita del Cofto entra un uomo alto quanto un cipresso. Ha un braccio nudo e l’altro guantato di nero fino all’omero….
Ma no! Guardando bene il braccio non è ricoperto……è proprio nero di suo!
Spiega Cagliostro: -Ecco a voi Viktors Ciurlonis, portabandiera dei militi della Livonia. Sullo stesso campo di battaglia del tenente von Bruggen, al Ciurlonis viene spregiativamente tagliato il braccio con il vessillo. Il Bragadin recide subito l’arto di un morto squartato e lo cuce all’angolo della spalla del Ciurlnonis. È evidente che il nuovo braccio sia quello di un soldato di pelle nera-
-Due mani sono sempre meglio di una sola- commenta la baronessa.
Cagliostro continua: -In patria, la moglie del Ciurlonis non vuole però essere toccata dalle nuove dita. E il nostro amico dai bicipiti bicolori cambia città- ^^^
Le dainas sono tramandate oralmente fino al 1770 quando Gunther Herder, insegnante di Riga, le raccoglie e le pubblica nel volume “Voci dei popoli nei canti”.
La prima catalogazione è invece opera di Krisianis Barons, matematico e astronomo. Nel 1894 Barons trascrive ogni unità di quattro versi su una strisciolina di carta. Poi le separa usando come raccoglitori scatole di sigarette (papierosy). La suddivisione avviene in base a tematiche: lavoro, relazioni famigliari, relazioni pubbliche, stagioni, agenti atmosferici, stelle e pianeti, feste popolari, esplicito contenuto sessuale, formule magiche per avveramenti.
Quando il sistema delle papierosy non basta più, Barons commissiona a un falegname un armadio di pino con 70 cassetti, ciascuno frazionato in 20 comparti. Il mobile, contenente 200000 dainas viene trasferito alla Biblioteca nazionale di Riga. Le dainas aumentano poi fino al milione attuale e sono ancora salvaguardate nella Biblioteca che dal 2014 ha un nuovo edificio, sulla riva sinistra della Daugava. La recente struttura è conosciuta come Gaismas pils, ovvero il Castello di luce, secondo l’idea dell’architetto lettone-americano Gunars Birkerts che lo concepisce come una collina di vetro, alta 68 metri.
^^^Cagliostro fa entrare in sala un nuovo personaggio, alto quanto un abete e senza particolarità evidenti. Il conte gli avvicina però una torcia al viso e divulga: -Il qui presente junker, Roman Lomasz, nella medesima battaglia del Ciurlonis e del von Bruggen, è colpito a un occhio. Le sue iridi sono argentee come lama colpita dal sole. Il Bragadin, oltre a non poter proprio reperire un occhio grigio, ha per le mani un occhio color noce che diventa di proprietà del Lomasz-
-Vedere il mondo a metà sarebbe stata riduzione davvero grave. E poi il colore dell’occhio, sia esso argento, castano o azzurro, non cambia i colori del mondo- constata la baronessa.
Cagliostro procede: -Congedato, il Lomasz ritorna dalla fidanzata che però protesta: le sembra di essere guardata da un’altra persona, magari da un turco blasfemo. Il nostro Roman sposta pure lui la sua residenza- ^^^
Le dainas sono connotati essenziali dell’identità lettone. Nella diaspora del 1940, quando la Lettonia è massacrata dalle opposte armate, quella sovietica e quella nazista, chi fugge su pescherecci traversanti il Baltico, porta con sé libretti dal dorso in cuoio marroncino su cui sono trascritte le dainas.
^^^Cagliostro fa accedere alla sala illuminata un terzo uomo. Alto quanto una betulla, capelli biondi ravviati all’indietro, baffi fragili. Giacca buttata sulle spalle, appesa solo alle punte degli omeri. Respiro affannato. Si appoggia al tavolo denunciando stanchezza da convalescente.
Il conte svela: -Nella battaglia già ricordata, il qui sopraggiunto capitano Gregor von Ulste viene beccato da una granata che lo sfracella dall’ombelico in giù-
-Il capitano, pur a fatica, si regge in piedi- considera la baronessa.
Cagliostro annuncia: -Il dottor Bragadin vi conferma ora ciò che la sfera di cristallo mi ha anticipato-
Bragadin riporta: -È vero che il barone Ebherard von Bruggen viene disintegrato dall’artiglieria. Però quel che di lui va distrutta è solo la parte superiore. Dal ventre in giù il barone rimane integro-
L’unicorno della baronessa inizia a oscillare.
Continua Bragadin: -Mettendo in pratica il mio dovere di chirurgo ho prontamente unito le due metà umane-
Sottolinea il Gran Cofto: -Una lunga cucitura lega adesso un tronco inferiore a quello di sopra. Per cui il capitano von Ulste è al momento anche barone von Bruggen-
La baronessa vacilla. Poi commenta: -Mi è rimasto mezzo marito ma in teoria potrei averne due perché in fondo il mio Ebherard non è completamente morto-
Cagliostro aggiunge: -Vi dirò, baronessa, che in un uomo possono vivere anche due anime, come due anelli di pane nello stesso brezel-
Il capitano von Ulste/von Bruggen è molto pallido. Si incurva un poco.
Bragadin dispone: -Portiamo il capitano al primo piano, nella camera degli sposi. Sdraiamolo sul letto-
Il moro Joe si mette il corpo del capitano a cavallo della clavicola destra e lo porta su per le scale.
Bragadin chiede: -Baronessa, vegliate per favore sul capitano. Se sviene, mettetegli i piedi su un cuscino e schiaffeggiatelo. A breve verrò a sincerarmi delle condizioni del mio ex paziente-
Cagliostro suggerisce: -Se il capitano non sviene, baronessa, potete anche fare una verifica. In fondo la sua parte inferiore vi appartiene- ^^^
Recita una daina: “Forse è un dono di Dievs/forse è la legge di Laima,/lo straniero incontrò la straniera/e insieme vissero in gioia” (per la cronaca, in lettone Laima è il destino)
^^^Quando Bragadin torna a visitare il debilitato capitano von Ulste/von Bruggen, la baronessa Waltraute scende dalla camera degli sposi.
Cagliostro le chiede: -Avete ritrovato qualcosa di familiare? –
Risponde la baronessa: -Come non posso riconoscere mio marito- ^^^
Carlo Maria Milazzo