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Le Clarisse lasciano Santa Caterina da Bologna

N. 78- Maggio 2023

 

 

Le Clarisse lasciano Santa Caterina da Bologna

Tocca alla nostra generazione salutare quelle clarisse che Bologna accolse festosamente il 22 luglio 1456, quando Santa Caterina de’ Vigri venne inviata come abbadessa per fondare il primo monastero femminile dell’Ordine nella città felsinea. Le cronache raccontano che arrivò con altre quindici suore claustrali, due converse e con al seguito nobili ferraresi. Queste le parole che troviamo ai piedi dell’illustrazione del pittore Giulio Morina, anno 1594: “Nei pressi della città vennero loro incontro l’eccellentissimo Cardinale, il Legato e il Vescovo, con tutta la nobiltà. Giunti alla contrada Galliera, tutta la compagnia spirituale e secolare vestiti con belle livree, fanciulli e ragazzi con corone di fiori in capo e gigli in mano cantavano ‘Benedetta colei che viene nel nome del Signore’. S’udivano poi sonori suoni di trombe, di campane e di altri strumenti, musiche e melodie cantate con voci soavissime”. Tanta festa per l’arrivo di umili monache che avrebbero vegliato sulla città con la loro preghiera silenziosa, per presentarne a Dio gioie e dolori. Così dettavano di fare cuore e mente, in un momento in cui la dimensione dello Spirito aveva ancora un valore immenso, ed era innata la consapevolezza che la vita claustrale fosse il “cuore della Chiesa” come disse Santa Teresa di Lisieux, e in qualche modo anche della società.

Sei secoli di grazia dopo, le vediamo partire, quelle clarisse. Dopo avere tentato di tutto per rimanere. Molto più di quanto forse non meritasse la città. Una piccola comunità di sole quattro monache, due delle quali molto anziane e bisognose di assistenza. Il monastero, ridotto al lumicino nella comunità, non riusciva più ad assicurare alle sorelle il giusto equilibrio tra preghiera, fraternità e lavoro, come richiede la regola. E così, per obbedienza a chi ha l’obbligo del governo dell’Ordine, le sorelle hanno salutato tra le lacrime quelle pietre benedette che tanto amore e tanta fede hanno respirato in questo lungo tempo.

A lenire in parte il dolore di questo distacco, sta il fatto che formalmente non si tratta di una cesura: il monastero non è soppresso ma solo sospeso. Questo significa che è stato lasciato in attesa che, auspicabilmente, ci siano le condizioni per poterlo far ripartire. E non è una distinzione astratta o formale. Sappiamo tutti, infatti, quanto la flessione di vocazioni alla vita consacrata stia portando ad una contrazione progressiva del numero di monasteri in Italia; ma nell’Ordine c’è la consapevolezza che il monastero di Bologna sia diverso dagli altri, in quanto chiamato a custodire il corpo di una grande santa clarissa: Santa Caterina de’ Vigri appunto. La chiusura è quindi una ferita particolarmente dolorosa, che ha convinto a darsi fare per continuare a cercare una soluzione che dovrà tenere conto sì della opportunità di ricreare una comunità, ma anche del bene delle singole clarisse che la dovranno ricostituire. Criterio imprescindibile. Quindi: si è chiuso un capitolo, ma il libro rimane aperto in attesa di nuove parole da scrivere.

“E’ inevitabile la tristezza nel momento in cui è sospesa la presenza delle sorelle in questa casa – ha detto nella Messa di saluto il cardinale Matteo Maria Zuppi – Una fonte che riversava segretamente tanta vita e tanto amore nel cuore della città, e alla quale in tanti venivano ad abbeverarsi da generazioni. Forse l’assenza ci farà comprendere ancora di più la presenza e la necessità di una presenza, l’importanza di quello che a volte davamo un po’ per scontato. E credo che sia occasione per sentire la nostra responsabilità e maturare decisioni di preghiera e di disponibilità.  Certi che il Signore non si stanca di chiamare operai a tutte le ore”. L’Arcivescovo ha quindi invitato ad essere attenti ai segni che Dio manderà. “Crediamo troppo poco nella Provvidenza – ha aggiunto – Santa Caterina ce lo ricorda, anche nel suo coraggio, e certamente ispirerà scelte coraggiose per pensare e riprendere la presenza qui. La Provvidenza richiede sempre l’indispensabile coinvolgimento di tutti noi stessi, ricordando però che non sono solo le nostre forze, ma lo Spirito, che ancora più delle nostre forze, rende nuove le cose vecchie e genera cose nuove. Ma noi ce la dobbiamo mettere tutta”.

“Un grande sacrificio ci è chiesto in questo momento – ha detto suor Gisella, nel saluto al termine della celebrazione a nome della comunità delle clarisse – Solo guardando al Crocifisso risorto possiamo mettere i nostri passi dietro i passi del Signore e fare la sua volontà in ciò che oggi la Chiesa ci chiede”.

Nulla cambierà, almeno formalmente, per quanto riguarda Caterina de’ Vigri, che resta nella sua cappella. A fare da custodi saranno i Missionari Identes, già presenti dell’adiacente santuario del Corpus Domini, cui spetterà il compito di accogliere e guidare i pellegrini.

Nulla cambierà anche nelle cuore di queste splendide monache, che dai loro nuovi monasteri (Ferrara, Fanano e Rovigo), continueranno a ricordarsi della nostra Bologna. Con amore tenace e gratuito. Com’è l’unico amore che Dio conosce. Lui che è l’Amore da cui esse si abbeverano e del quale sono riflesso. E questa è una grande, grande consolazione per la nostra città sazia e disperata di biffiana memoria. Che se ne accorga o meno. Ed è ragione di tanta speranza. Mi ha sempre colpito quanto accadde in Assisi nell’estate del 1242, Santa Chiara vivente. L’anno seguente il noto evento dell’assedio dei Saraceni al monastero di San Damiano, quando Chiara uscì armata del solo ostensorio col Santissimo, e mise in fuga i soldati. Ebbene in quel 1242 ci fu un nuovo assedio ad Assisi, sempre da parte Saracena per volontà di Federico II. Assisi era ormai allo stremo e stava per capitolare. Questione di ore. Santa Chiara, si legge nella biografia di San Tommaso da Celano, fece portare della cenere, radunò tutte le sue monache, e chiese loro di fare penitenza, e pregare tutta la notte offrendo ogni genere di sacrificio. Il sole, tornando, trovò le monache stremate ma una città che, in poche ore, era riuscita a ribaltare le sorti della battaglia e ad allontanare il pericolo. Chissà se gli assisani allora capirono cosa accadde. Se compresero chi dovevano ringraziare del loro respiro. Certo è che quell’episodio, così lontano, lo sentiamo ancora tanto vicino.

Michela Conficconi

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