Now Reading
La violinista di Waterville

N. 96- Gennaio 2025

 

 

 

La violinista di Waterville

Il Ring of Kerry è il tracciato stradale ad anello attorno alla penisola irlandese di Iveragh, dito di un pianista sul tasto blu dell’oceano. Il punto di partenza e arrivo è Killarney, paese di casette bianche e rosse/cattedrale neogotica sproporzionata/calessini trainati da cavalli di razza Connemara (ibridi tra eleganti stalloni berberi, sopravvissuti nel 1588 al naufragio dell’armata spagnola, e giumente locali con la testa da pony).

Data la dimensione ridotta della carreggiata, il percorso va affrontato in senso antiorario, ma non essendoci cartelli di obbligo qualche forestiero ignaro lo imbocca nel verso opposto e allora, negli incroci tra veicoli, They are bitter dicks (ma sì, traduco: sono cazzi amari).

Agosto 2023. Cara Mannoia, “Il cielo d’Irlanda è un gregge che pascola in cielo”. Io salgo su un pullman viola che s’immette nel Ring. Attraversiamo Killorgin, villaggio invaso da mucche caffelatte per l’annuale fiera bovina. Costeggiamo gli 11 km della spiaggia di Rossebeigh, sabbia albicocca, ideale per scenografiche cavalcate in riva all’oceano. Fronteggiamo poi la consistente Valentia Island. Dopo aver doppiato l’unghia della penisola, mi fermo a Waterville, per una notte al Sea Lodge hotel. Stanza con giardino limitato da siepi di fuxie fiorite, il mare sciaguatta a 90 metri, il gabbiano dalle ali d’argento fa la bella statuina sul pilastro del cancello.

Opto per questa sosta perché dal 1959 al 1970 Charlie Chaplin passa a Waterville tutte le estati: che ci trova in un borgo di 500 anime con l’aria sempre mossa?

La spiaggia ha il colore del bronzo ed è leggermente concava per assecondare una baia poco accentuata. Una striscia di sassi levigati la separa dalla strada del Ring. Le case del paese sono tutte schierate fronte mare, una accanto all’altra come un picchetto di scioperanti. Due abitazioni spiccano con tinta celeste, tre con verniciatura salmone.

La prima costruzione (o l’ultima) è la chiesetta rossiccia. Dopo, 20 cespugli si rannicchiano al suolo come se dovessero scattare per i 100 metri, magari con un coniglio per preda. Dopo ancora si slarga un campo da golf, verdissimo e forse innaffiato col Tantum. Dopo ancora c’è un appezzamento punteggiato dalle immancabili pecore dalle zampe nere. Dopo ancora si alza, macchiata d’erica, la scogliera, che si abbatte nel mare come una mannaia che tagli un pezzo di carne blu. Protetto dalla scogliera, c’è il cottage di Chaplin, a 1 km da Waterville.

Il cottage è una palazzina a due piani, magra, bianchissima come piacerebbe a Capitan Dash. Due camini beige s’impennano sul tetto spiovente. Il picchiotto della porta luccica. Il prato digrada fino all’oceano, che sale a brucarlo con le onde. Tra i flutti saltano i merluzzi, che verrebbero apprezzati da Capitan Findus.

Ceno con fish and chips all’unico pub, bevendo birra locale rossa Smithwick’s. Le bottiglie di whisky, a testa in giù, mandano una luce arancio. Su un palco, incastonato in un angolo, attaccano a suonare una ragazza col violino, un ragazzo con l’organetto e un anzianoide col banjo. Al vecchiardo, mentre pizzica le corde con i plettri a ditale, saltella la zazzera canuta. L’organetto è una fisarmonica nana. La ragazza, che ingrandisco nello zoom del cellulare, ha capelli rossi come una sanguigna di Leonardo/“occhi grandi color di foglia”/lentiggini da esportazione/maglietta corallo sbracciata.

Il violino mi sottomette. Sono rapito dal suono alternativamente fiabesco e terribile. L’archetto, che brilla come investito dalla luna, è la chiave della favola con la fata dalla bacchetta magica. Ma lo stesso archetto potrebbe riflettere il sole, come una spada che taglia la gola a un cavaliere in battaglia.

L’archetto è un lungo ago che mi fora la pelle e ne riemerge: sotto cute è brando che squarta, sopra cute è sollievo mistico. Sotto cute è ansia a gogò, sopra cute è audacia che si spinge al confine tra il sublime del suono e il ridicolo della stecca.

Vado fuori dal pub, sotto la tettoia che protegge dai tipici e improvvisi rovesci di pioggia. Temperatura a 15 gradi. Sera ancora lontana, qui a Nord. Cara Mannoia, “Il cielo d’Irlanda è Dio che suona la fisarmonica; si apre e si chiude col ritmo della musica”. Il cielo si chiude con nuvole nere quanto pinte di Guinness, poi si apre con lame d’azzurro.

Davanti al pub, al di là della strada, staziona la statua color lichene di Charlie Chaplin, con tanto di bombetta e bastone flessibile.

Mi rifornisco di birra lager Rockhouse, bionda e con 30 milioni di bollicine che in un solo bicchiere si muovono in sinuosa danza del ventre. Mi siedo su seggiola con schienale a quadrifoglio, accanto a un uomo dai capelli giallicci e dagli occhi azzurri persi nel faccione di burro. Il mare mi fa un impacco di salsedine. Il violino mi tiene al guinzaglio anche lì.

Chi entra al pub saluta il mio vicino con “hello philosopher”. Lui confessa di chiamarsi Kennày.

-La violinista è bravissima- dico a Kennày.

-È solo una specialista- dice lui.

-Io le riconosco talento artistico-

-È solo specializzata e la specializzazione è come pulirsi un solo dente che è sì brillante, ma il resto della bocca marcisce- dice lui.

-Per me ha raggiunto un livello altissimo-

-In una settimana la tua scienza diventa ciarpame. La scatola deve essere vuotata, prima che si possa riempirla di nuovo- dice lui.

-Mettendo a posto, nella scatola c’è ancora posto- controbatto e aggiungo: -Forse occorre maturare lo stile dell’inscatolamento-

-Il progresso è il nuovo riempimento- dice lui.

-Il progresso è lo scalpo del diavolo- sostengo io.

Arriva un folletto, leprecauno in irlandese. Alto quanto un bimbo di 5 anni, barba arancione, naso aquilino, occhi scuri e vivaci. Cappotto rosso, squadrato e dai bottoni d’oro; sotto, un panciotto limone. Scarpe con fibbie argentate. Tricorno nero.

Col folletto sono due bambini, grandi quanto il leprecauno. Maschio e femmina, teste biondo cenere.

-Philosopher, ti riporto i tuoi figli- dice il folletto.

-Perché, se ne sono andati di casa? – domanda Kennày.

-Cinque giorni fa tua moglie mi ha rubato la pentola dell’oro e io ho sequestrato i due fanciulli per poterla riavere- racconta il leprecauno.

-Moglie sprovveduta- constata Kennày.

-Un leprecauno senza la pentola d’oro è come una rosa senza profumo. Ma ora tua moglie mi ha ridato la pignatta e io restituisco la prole-

Kennày accarezza la figliolanza. Chiede:

-Come siete stati, bambini? –

-Bene- risponde il maschio -Abbiamo sempre mangiato pane e latte di capra-

-Bene- ribadisce la femmina -Siamo entrati in una buca ai piedi della quercia e siamo scivolati fino a una stanza. Chi ha costruito la camera è stato attento a non colpire le radici. Per attraversarla bisogna girare attorno a ostacoli, scavalcarli e passarci sotto. Alcune radici formano delle sedie e dei tavoli. Purtroppo c’è poca luce che scende da un buco nel terreno-

-Nella stanza ci sono sei omini che portano vestiti verdi stretti e piccoli grembiuli- si avvicenda il maschio -Lavorano tutti a fare scarpe-

-Uno si stira sulle ginocchia gli spaghi passati nella pece- spiega allora il leprecauno -Un altro ammorbidisce strisce di cuoio in un secchio d’acqua, un altro liscia il collo della scarpa con un pezzo di osso ricurvo, un altro pareggia il tacco con un coltello a lama larga-

-Un altro- continua il maschio -infila nelle suole, a colpi di martello, delle puntine che tiene in bocca-

-Anche noi abbiamo imparato a fare le scarpe- rivela la femmina.

Kennày spazzola con le mani gli abitini dei fanciulli. Poi li invita:

-Andate a casa adesso. La mamma è di sicuro molto in pensiero-

I bambini si incamminano soli, tenendosi per mano.

-Come mai sei venuto senza arcobaleno? – chiede il philosopher al leprecauno.

-Troppo ingombrante- risponde il folletto.

-Lo sai che potrei requisirti e pretendere dai tuoi simili la pentola dell’oro come riscatto? – dice Kennày.

-Lo so, ma tu non lo farai- afferma il folletto.

-È vero. Anzi ti do una moneta per il tuo tesoro. Ti voglio ringraziare per aver trattato i miei figli come un buon genitore-

Appena il leprecauno volta le spalle, domando a Kennày:

-Ma non ti sei minimamente preoccupato dell’assenza dei tuoi bambini? –

-Il principio della saggezza è la spensieratezza- mi viene replicato.

Il violino imperversa. Il philosopher mi dice:

-Ti faccio contento, ti faccio vedere che in fondo ammiro la violinista-

L’uomo si alza e inizia a danzare.

I piedi saltellano battendo un ritmo capriccioso. A volte si scollano insieme da terra e in aria cozzano i tacchi. Il busto rimane rigido. Le braccia vengono buttate in fuori e poi in alto. C’è equilibrio e sicurezza nei movimenti. Si spande l’idea che il danzatore non possa mai sentire stanchezza.

Terminata l’esibizione, Kennày va a munirsi di un boccalone di Guinness scura e mi porta un’altra Rockhouse. Si risiede.

Arriva una vecchietta dai capelli grigi e duri come fili di vetro. Rughe a bizzeffe. Camicia bianca e gonnellone grigio. -Hello philosopher- reitera.

-Non darle confidenza- mi intima Kennày e poi, rivolto alla donna: -Have a good evening, my sweet hare-

-Perché dolce lepre? – interrogo Kennày.

-Quella è una strega-lepre- mi delucida il philosopher e continua: -Un giorno becco davanti a casa un leprotto diritto sulle zampette posteriori.  Prendo il fucile e quello fa solo un balzo di lato come a dirmi: “Fai pure” –

-Ha sparato? – domando.

-Ho sparato e si è levato uno strillo da spaventare una torma di soldati. Poi si è alzata la nebbia e non ho più visto niente-

-Quindi? – incalzo.

-Il giorno dopo trovo del sangue là dove è stata la lepre. Seguo la traccia e arrivo alla porta della donna di poco fa, Katy McShane. Sento un lamento e allora apro la porta. Lei è seduta con un gatto tigrato in braccio-

-Gatto sicuramente ostile- pronostico.

-Sì, il gatto sputa, ma io chiedo: “Che cosa ti addolora, Katy?” –

-Lei cosa risponde? – domando.

-Lei snuda una gamba e mi mostra una ferita fresca. Mi dice: “Stavo tagliando un ceppo col falcetto e mi sono scorticata” –

Mi sgargarozzo un tot di Rockhouse e commento:

-É stato un bene smascherare la strega. Il diavolo che si conosce è sempre meglio di quello che non si conosce-

Cara Mannoia, “il cielo d’Irlanda si ubriaca di stelle”. Io sono un po’ brillo di birra e la vescica è una scatola in cui non entra più nemmeno uno spillo.

Mi alzo per raggiungere il vicinissimo hotel, ma prima di andarmene voglio avere l’ultima parola nei confronti del philosopher. Dico:

-Sostiene Charlie Chaplin che “ci vuole un minuto per notare una persona speciale, un’ora per apprezzarla, due ore per volerle bene-

Kennày mi fa Ok con le dita.

Concludo trionfante: -Violinista dai capelli rossi, ti porterò sempre con me-

Carlo Maria Milazzo

Via del Battirame, 6/3a · 40138 Bologna - Italy
Tel +39 051 531800
E-mail: redazione@omnismagazine.com
Reg. Tribunale di Bologna n. 8115 del 09/11/2010

Editore: Mediatica Web - BO

Scroll To Top