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La selvaggina che cura. Cacciagione e medicina nell’antichità

N. 96- Gennaio 2025

 

 

 

La selvaggina che cura. Cacciagione e medicina nell’antichità

A metà del 1700 il Conte Francesco Ginanni (Ravenna 1716-1766) scriveva sul suo importante trattato botanico-faunistico “Istoria civile e naturale delle pinete ravennati”, pubblicato postumo a Roma nel 1774, che nelle pinete ravennati (che al tempo toccavano l’estensione di ottomila ettari (oggi ne sono rimasti non più di tremila), venivano praticate varie cacce per le quali <… un nobile gentil Cacciatore appresta, e si rende perciò la delizia loro, che festeggianti, e carichi di pingui prede a quel ricovero tornano, … certoché rinomate furono le medesime (cacce; n.d.a.) fin dagli antichi tempi; quando Servio ricordava le cacce di Ravenna e di Altino … >. Le cacce descritte dal Ginanni erano varie per quante erano le specie selvatiche presenti: < Le Pinete dunque, che di esse massimamente parlasi, quando di caccia ravennate si parla, e si tratta, hanno dato sempre, e in ogni stagione di abbondanti cacce, e dilettevoli; le quali ora sono di uccelli da terra, e da acqua, e di lepri spesso, e di volpi, e talora di lupi, e d’altri … >. Dal punto di vista naturalistico, il Ginanni attesta la presenza di animali dei quali oggi nessuno, se non studioso di archeo-zoologia, potrebbe immaginare un passato locale. Informazioni che contribuiscono, inoltre, a tracciare la varianza della dinamica di popolazione di alcune specie selvatiche da ieri a oggi. Ma qual era la destinazione della cacciagione? Se n’è parlato, nel corso dei vari interventi, durante il convegno organizzato dal Comune di Ravenna e dal Parco del Delta del Po, dedicato alla storia degli ambienti, delle pinete e delle paludi del ravennate, tenutosi lo scorso sabato 11 dicembre 2021 a Ravenna presso il Palazzo dei Congressi. Un punto fermo di quella caccia antica era l’utilizzo della selvaggina come alimentazione. Infatti, nello spirito di allora, la conoscenza del mondo animale veniva proposta particolarmente sotto l’aspetto utilitaristico, evidenziando quanto gli animali offrivano: diletto, vantaggio e nutrimento. Nel contempo però auspicando di non impoverire la risorsa faunistica, per mantenerla fonte costante dell’alimentazione umana. Il nutrimento per le famiglie aveva infatti un aspetto primario, e il prodotto delle cacce finiva sia sul desco casalingo dei singoli cacciatori che sul mercato cittadino, ove trovava buona collocazione. Costume, e ammissibilità nel secondo caso, rimasti fino agli inizi della seconda metà del Novecento. Ma ciò che oggi incuriosisce, è l’uso delle carni di selvaggina, in varie forme somministrate, anche per finalità terapeutiche atte a sanare svariate patologie che affliggevano comunemente le persone in quell’epoca. Per comprendere oggi tale particolarità, bisogna tener conto del fatto che il 1700 fu il secolo dell’Illuminismo ma insieme un vero e proprio secolo dell’occulto, nonostante la nuova scienza della chimica stesse affacciandosi sulla scena per prendere gradualmente il posto dell’alchimia, la quale, convivendo talvolta con l’esoterismo, conobbe comunque un momento culturale che la portò sulla strada di quella che divenne poi la chimica ufficialmente riconosciuta.

Anche dall’arte si possono desumere quei nuovi segnali, osservando ad esempio i dipinti del pittore veneziano Pietro Longhi (1702-1785, coevo del Ginanni), famoso Autore di scene di cacce nella laguna veneta. Fra le sue opere sono presenti alcuni quadri che ritraggono alchimisti al lavoro (uno molto noto nel secolo scorso per la pubblicità di un dentifricio). Estrapoliamo solo alcuni dei “farmaci” annotati dal nostro, limitandoci a quelli che derivavano da specie selvatiche ancora oggi di incontro comune nell’attività venatoria. Del colombaccio il Ginanni riporta: < Censorino volle esibire per ottima la carne loro agli ammalati. Ippocrate la propone nel flusso pituitoso de’ mesi, e Tralliano nelle timpanitidi >. Un “ricostituente”, per così dire, a largo spettro, preso in considerazione già dal padre della medicina razionale, il medico greco Ippocrate (Kos, 460 a.C. circa – Larissa370 a.C. circa), che ha dato il nome anche al giuramento dei medici. Della lepre: < Sono in uso nella Medicina il cuore, il fegato, i polmoni, e il sangue ridotti in polvere, perché ritengano la dissenteria, e qualunque flusso, e sono contro la epilessia >.

Anticamente si riteneva che, applicato all’esterno, il grasso del fagiano avesse il potere di mitigare i dolori reumatici

Non da meno il fagiano, addirittura con qualche potere in più, perché addirittura curava i “tumori” (virgolettato, perché il termine è probabilmente da intendere riferito a bubboni e cisti): < Viene commendato il suo cibo a quelli, che sono attaccati da epilessia, e da convulsioni. Il suo grasso, applicato all’esterno, ha virtù di corroborare, di mitigare i dolori reumatici, e di risolvere i tumori >. Abbastanza più da stregoneria il cinghiale, “bestia nera” dei misteriosi recessi boschivi fin dall’antichità: < Per uso dell’arte Medica si considerano i suoi denti (sic!), il grasso, la verga (ri-sic!), e lo sterco (evviva l’abbondanza…!); ma oggi giorno la nostra Medicina Italiana ha esiliati tutti questi misteriosi farmaci, non mancando dovizia grandissima di più acconci, e puliti succedanei >. Da riconoscere che il Ginanni si manifesta qui coerente spirito di ricercatore che guarda al nuovo e all’evoluzione della disciplina medica, con atteggiamento di encomiabile italianità. Non mancano, nel ricettario, indicazioni per le malattie nervose, sanabili grazie all’Oca silvestre, distinta da quella “dimestica”: < Si pretende che il suo sangue abbia virtù di resistere alla forza del veleno, e ne’ morbi melanconici, dove predomina l’altra bile, possa emendare gli umori maligni >. Ma non solo i malati, anche i crapuloni potevano rivolgersi allo speziale per le nefaste conseguenze delle agapi, confidando nelle proprietà terapeutiche della quaglia: < I manicaretti (?!) fatti di Quaglie sono ricevuti dalla Medicina, come emollienti, e rilassativi il ventre costipato >. Vista oggi, in verità, la terapia, più che un medicamento, sembra un parallelo con il detto “se cadi da cavallo rimonta subito in sella”. Un toccasana prelibato era anche il tordo, per un mancamento piuttosto grave più volte preso in considerazione dal Ginanni: < Si crede, che il Tordo, in qualunque maniera preparato, sia ottimo contro l’epilessia >. I neurologi sono avvertiti! La pavoncella dal canto suo curava da capo ai piedi, perché le si attribuiva < facoltà di purgare il sangue, di corroborare il cerebro e di sanare l’epilessia >. Intonato il suggerimento medico nell’uso della tortora, selvatico dall’aspetto gentile, per mitigare problemi del gentil sesso: < L’uso suo principale nella Medicina suol essere per sedar l’abbondanza de’ mestrui >. Alambicchi e alchimia più “fine” riguardavano invece selvatici particolari: < Il sugo (!) di Cicogna, cavato dalle sue carni (cotte o crude? n.d.a.) con arte, ottimo si reputa per confortare i membri paralitici. Così lodasi molto la distillazione (?!) di Cicogna giovane, come antiepilettico >. L’epilessia è un mancamento molto ricorrente nel testo del Ginanni. Epilessia forse spesso travisata allora al posto di più probabili convulsioni da parassiti intestinali. I disturbi di vario genere e patologie ricorrenti a carico di bambini e adolescenti, probabilmente derivavano anche dall’alimentazione allora certamente poco riguardosa della salute (per usi, ignoranza, inevitabile cattiva conservazione degli alimenti, indigenza nelle classi economicamente deboli). Medici e speziali curavano così i malati alcuni secoli fa. Riflettendo oggi, viene il sospetto che anche il classico brodino di pollo di buona memoria, che faceva il paio con convalescenti e puerpere nel secolo scorso, fosse uno strascico di quegli antichi usi di medicina popolare. Alla resa dei conti, attraverso una logica ambientale, il testo botanico-faunistico del Ginanni offre indirettamente anche un quadro socio-sanitario del tempo, elencando i rimedi prevalenti contro i malanni che più si manifestavano. Ma con tutto il dovuto rispetto per la scienza del tempo e per l’encomiabile impegno di studio dei ricercatori, è lecito supporre che il rimedio più sicuro fosse quello di avere già di nascita, come si suol dire, un fisico di … sana e robusta costituzione!

Roberto Aguzzoni

In copertina: Alchimisti al lavoro in un dipinto di Pietro Longhi (1702-1785). Nel Settecento l’alchimia conobbe un momento importante, interessando anche l’arte

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