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La regina di Parigi

N. 96- Gennaio 2025

 

 

 

La regina di Parigi

Se devo scegliere un’immagine dal 2024 per depositarla nel mio ippocampo, opterei per Céline Dion che canta alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi. Céline da quattro anni non si espone al pubblico: è affetta da una malattia rarissima, la Sindrome della persona rigida. Trattasi di neuropatia che si manifesta con legnosità muscolari e con spasmi improvvisi delle mani, delle cosce, del volto. Il tronco perde flessibilità e l’andatura diventa quella del soldatino di piombo.

Céline si presenta in mondovisione col rischio di contrazioni ingovernabili che potrebbero deturparle il viso e storcerle le labbra, facendone uscire il rumore fastidioso di un amplificatore mal connesso. Molti lo sanno e, quando lei sta per attaccare il suo pezzo, milioni di spettatori trattengono il respiro, timorosi di un effetto Gaber (in Goganga un paziente rivela al medico la sua grillite, per la quale fischia ogni cinque parole). I telecronisti logorroici si zittiscono all’unisono. Nessuno sul pianeta Terra tifa contro Céline, nemmeno i goduriosi delle sfighe altrui, nemmeno gli speranzosi che lo champagne sappia di tappo. La cornice parigina aiuta: scrive Victor Hugo che “Parigi è il centro dell’umanità, Parigi è città sacra e chi attacca Parigi attacca in massa tutto il genere umano”.

Quand la nuit tombe, Céline è sul balcone al primo piano della Tour Eiffel. Illuminati solo lei e i cerchi olimpici. Nella penombra si indovina la sagoma del pianoforte a coda, chiazzata da pozzangherine di pioggia. Biancheggiano i capelli e la camicia del pianista.

L’abito, creato dalla maison Dior, si allarga dolcemente dal seno in giù. É realizzato in georgette di seta lattescente/ricamato con gradazione di paillettes/impreziosito da cinquecento metri di frange tempestate di perle d’argento. Il collo alto copre carotidi e giugulari che, a nudo, sono lunghe e possenti come pilastri della Sagrada Familia.

Lo chignon tirato evita la consueta pettinatura di Céline, capelli che dalla scriminatura cadono lunghi ai lati delle guance e accentuano la magrezza della cantante (che potrebbe passare a zig zag tra le gocce di pioggia senza bagnarsi).

Gli occhi nocciola, contornati di molto nero, guardano attentamente un luogo oltremondo, uno spazio oltre gli angeli buoni e cattivi, il tempo dove sta lo scrigno dello spirito.

Due parole sulla Tour Eiffel: Roland Barthes la definisce “edificio inutile e insostituibile, mondo famigliare e simbolo eroico, testimone di un secolo e monumento sempre nuovo, oggetto inimitabile e costantemente riprodotto; è il simbolo puro, aperto a tutti i tempi, a tutte le immagini e a tutti i sensi: la metafora irrefrenabile”.

La Torre è l’apoteosi miracolistica dell’ingegneria: dai suoi 300 metri irride il vento più forte con oscillazioni massime di 15 cm. E, con le sue 7000 tonnellate, il carico al suolo è di 4 kg per cm2, equivalente a quello di un uomo seduto su una seggiola.

Céline compie il passo che potrebbe essere fatale, che potrebbe decretare la sua fine di artista e di donna: inizia a cantare sotto l’eventualità di una discinesia assassina.

Il compito è arduo.

Gigantesco.

E che sia allora incommensurabile, più grande del Male!

Che sia cantare Edith Piaf a Parigi.

Sì, proprio Edith Piaf, la leggenda, nella sua Parigi.

Piaf che il suo male al fegato non l’ha superato: defunta a 47 anni.

Tu, Céline, che non sei francese, e anche questo devi far dimenticare, ma sei francofona, dunque equipaggiata della erre arrotata tra lingua e ugola.

La canzone è l’Hymne à l’amour, la più difficile del mondo della cantante meno imitabile al mondo. Un azzardo da roulette russa.

Ma la canzone è giusta. Ha la tragicità incombente di tutte le chansons francesi, di tutta la letteratura d’Oltralpe. Madame Bovary, Marguerite Gautier, Satine di Moulin Rouge!, Et maintenant que vais-je faire de tout ce temps que sera ma vie?, Jean Tarrou ne La peste di Camus, Chloé ne La schiuma dei giorni di Boris Vian, Le vent nous portera…..

L’Hymne è scritta e dedicata dalla Piaf a Marcel Cerdan, pugile nato in Algeria da famiglia spagnola, poverissima. Trasferitosi coi suoi a Casablanca, Marcel comincia a tirare di boxe. Diventa campione del mondo dei pesi medi il 21 settembre 1948, sconfiggendo Tony Zale per abbandono all’11º round. Perde il titolo il 16 giugno 1949, battuto per KOT al 10º round da Toro scatenato, Jake LaMotta.

Nell’Hymne gravano, alla francese, un cielo che può crollare e una Terra che può collassare. Ma Edith urla di fottersene: “Si tu m’aimes je m’en fous du monde entier”.

Ci si può fregare di tutto se l’amour ti riempie di energia prodigiosa. Edith Piaf assicura: j’irais décrocher la lune, con il verbo décrocher che potrebbe tradursi con “strappare”, “pigliare”, ma che a me piace convertire in “ottenere”. La luna non ci se la mette sotto braccio, non la si posa sul comodino come una lampadina. La luna si va ad ottenere con una battaglia sovrumana. La luna si ottiene perché si vuole la sua bellezza.

E la Piaf reitera: j’irais voler la fortune. Andrò a rubare la fortuna. Perché non si può aspettare che la fortuna ti arrida per gentile concessione. E non si può nemmeno concepire che la fortuna si neghi. La fortuna te la procuri scippando il cuore della ruota che gira.

Poi, nell’Hymne si sprigiona il sapore di morte tipico dell’Art française. Si tu meurs,
moi je mourrais aussi. Nous aurons pour nous l’éternité, dans le bleu de toute l’immensité.
Dans le ciel, plus de problème. Dieu réunit ceux qui s’aiment.

E il canto diventa profezia. La rivincita tra Cerdan e LaMotta è prevista per il 2 dicembre 1949 al Madison Square Garden di Manhattan. Il 27 ottobre, all’aeroporto di Paris Orly, Marcel prende il volo che fa rotta Parigi-New York. L’aereo si schianta nella notte tra il 27 e il 28 contro la montagna dell’isola São Miguel, nell’arcipelago delle Azzorre. Nessun sopravvissuto tra i 48 passeggeri.

Céline Dion canta e afferra per i capelli gli spettatori che li hanno/Céline mitraglia i nervi di coloro che li posseggono/Céline squaglia i quadricipiti di chi ne è dotato. Céline porta dove vuole lei. Da ferma, immobile, solo con la voce. Certo, la mano è tesa in avanti, col palmo in su/le pupille artigliano la telecamera/i diamanti dei pendenti stelleggiano.

“Perché filosofeggiare quando si può cantare” (Georges Brassens)

Céline, nessuno adesso dubita che un guizzo perfido della malattia possa aggredire la tua bravura. Sei tornata non per mendicare commozione, ma per esaltare una cornice memorabile, Sei tornata sovrana, unica e sola. Sei tornata maiuscola, maiuscola coma le D di Dio. Sei tornata per dimostrare che la mente, la volontà, il desiderio portano il corpo con sé, se deve andare a creare bellezza.

La pioggia vien giù ad aghi lunghi e luminosi. Piangono tutti quelli che hanno aspettato te e la pioggia per non piangere da soli.

Céline, concludi con due lampi da big bang negli occhi. Poi lo sguardo diventa quello di tigre che snobba la preda. Troppo superiore la tigre.

Chapeau, regina di Parigi. Hai di nuovo ottenuto la luna. Hai di nuovo rubato la fortuna.

Carlo Maria Milazzo

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