“Il bel canto ritrovato” riscopre Giovanni Pacini
Dal grande cilindro delle opere dimenticate della prima metà dell’Ottocento, il festival “Il Belcanto ritrovato” quest’anno estrae Amazilia, di Giovanni Pacini, proponendola al teatro della Fortuna di Fano in forma di concerto. Un festival “giovane” – sia perché nato pochi anni fa, sia perché vede esibirsi prevalentemente interpreti a inizio carriera – ma soprattutto un festival “curioso”, impegnato a far riscoprire gli operisti taliani cosiddetti “minori” del periodo d’oro del Belcanto: quando l’Italia dominava la scena musicale e le opere di Rossini, Donizetti, Bellini trionfavano nei teatri di tutta Europa.
Accanto ai capolavori dei tre massimi compositori, nei teatri dell’epoca si acclamavano anche tantissime opere di autori oggi – spesso ingiustamente – caduti nell’oblio. Riportare alla luce la loro musica è appunto lo scopo del festival “Il Belcanto ritrovato” (IBR): nato da un’idea di Rudolf Colm, manager milanese grande appassionato di musica, è stato trasformato in festival da Saul Salucci, presidente dell’Orchestra Sinfonica Rossini (compagine di riferimento della rassegna).

Il festival si svolge fra Pesaro, Fano, Urbino (con tappe anche in alcuni suggestivi borghi dell’entroterra marchigiano) a fine agosto: il periodo ideale per attirare l’interesse di pubblico e critica, già in zona per seguire lo “storico” Rossini Opera Festival, di cui “Il Belcanto ritrovato” è divenuto una “coda” quasi obbligata, ma soprattutto molto gradita.
La formula prevede la scelta ogni anno di un “main composer”, di cui eseguire – in prima ripresa moderna ed edizione critica – un’opera lirica “dimenticata”, mentre altre sue composizioni sono presenti nei vari concerti del festival, assieme ad arie, duetti, cavatine di autori coevi, anch’essi “dimenticati”. Si tratta di un repertorio pressoché sterminato: basti pensare che finora (siamo solo alla quarta edizione) sono state eseguite musiche firmate da oltre quaranta compositori, tratte da decine di opere liriche differenti.

Protagonista della prima edizione fu Pietro Generali (piemontese, 1773-1832), di cui nel 2022 venne allestita al teatro Rossini di Pesaro la farsa in un atto Cecchina suonatrice di ghironda; l’anno successivo la scelta cadde su Luigi Ricci (napoletano, 1805-1859) col melodramma giocoso in tre atti Il birraio di Preston. Nel 2024 fu la volta del marchigiano Lauro Rossi (1810-1885), di cui fu portato in scena il melodramma giocoso in due atti La casa disabitata; in omaggio a Pesaro Capitale italiana della cultura, inoltre, grande spazio venne dato anche al pesarese (in verità nato a Tolentino, ma arrivato in città da bambino) Nicola Vaccaj.
Per la quarta edizione del festival, appena svoltasi, si è puntato su Giovanni Pacini (autore di ben 80 opere, fu definito “il re delle cabalette”) e, per la prima volta, su un’opera seria: Amazilia, che debuttò 200 anni fa al Teatro San Carlo di Napoli. Composta da Pacini quando aveva 29 anni, l’opera è ambientata in America tra gli indigeni delle campagne della Florida all’epoca dell’invasione spagnola. Inizialmente ebbe grande successo (grazie anche a un cast di assoluto livello, che schierava Joséphine Fodor-Mainvielle, Giovanni David, Luigi Lablache) e fu ripresa alla Scala di Milano e a Vienna; poi il suo cammino, come quello di tante altre opere dell’epoca, si fermò: l’ultima esecuzione nota risale al 1835 a Livorno.

È stata quindi grande la sorpresa per la qualità della musica e la difficoltà delle parti vocali di un’opera che valeva davvero la pena di riscoprire, qui presentata nell’edizione critica di Gianmarco Rossi. Molto bravi tutti gli interpreti, in particolare quelli impegnati nei ruoli principali, cui l’autore affida pagine di grande virtuosismo: il soprano Paola Leoci (Amazilia), il tenore Manuel Amati (l’innamorato Zadir), il basso-baritono Giorgio Caoduro (il “cattivo” Cabana). Alla fine, tanti applausi per loro e per il giovane ma già affermato direttore Enrico Lombardi. E soprattutto… la voglia di riscoprire la prossima “opera dimenticata”.
Liliana Fabbri
