Giuditta a Venezia
![](https://www.omnismagazine.com/wp-content/uploads/2024/02/Rossetti_Dante_Gabriel_-_La_Ghirlandata_-_1871-1874.jpg)
“Chiunque odia il proprio fratello è già un omicida”, scrive il monaco Abelardo.
Sì…
Però…
Giudy Sullam abita al pianterreno su un corso d’acqua che collega il Canal Grande al Canale della Giudecca. Il rio è in ombra/sprofondato tra due ali di case/color argento ossidato. I marciapiedi minimi, da ambo i lati, sono protetti da sottili muriccioli. Il bucato è immobile perché il vento ha vocazione reboante e non si abbassa a spifferare nelle strettoie.
Per rincasare Giudy apre un cancelletto con sette punte aguzze. In cinque passi smaltisce il giardinetto con magnolia centrale. Poi apre la porta di noce, attorniata dall’intonaco arancio, gonfiato dall’umidità.
Pulite le scarpe sullo zerbino, Giudy accede a una saletta con angolo cottura/divano di velluto blu che è pure il suo letto/tavolo anonimo con 4 sedie/tende raccolte, azzurro loffio. La luce è sempre grigia anche se con gradazioni diverse: 50 sfumature di topo.
Giudy vive con la madre Isabella, donna alta, 46 anni, castana liscia, polpacci scolpiti dal lavoro di movimento, braccia irrobustite dall’olio di gomito. Il marito e padre di Giudy se ne è andato da dieci anni. È stato sostituito da un nuovo compagno, Orenelfo.
“Non uccidere il tuo simile che Allah ha dichiarato sacro” (Corano, sura VI, versetto 151)
Ma dai…
Orenelfo ha un ciuffo nero tipo onda di Hokusai/barba alla Alessandro Borghi/guance da criceto ingordo/spalle che fanno scoppiare le cuciture delle camicie/pancia circumnavigata da cintura lunga quanto un pitone reticolato.
Orenelfo è un patriarca di nefandezza iperbolica. Picchia Isabella, lasciandole lividi sugli omeri. Nonostante le stanze siano pulite e la biancheria stirata, lui offende: -Non sei buona neanche per fare la serva- E nonostante le cene siano sempre pronte, lui irride: -Solo da mia madre ho mangiato bene. Qui mordo come un cinghiale della roba dura-
Isabella schizza sangue dagli occhi ma lui parte con un ceffone. Lei graffia. Lui spara un uppercut al mento.
Quando poi il testosterone trasforma il corpo di Orenelfo in un unico cazzo, il sesso va placato con un rapporto che 99 volte su 100 è violento (e a fine brutalità il commento è: -Non sei brava neanche a scopare-)
“Gli autori di omicidio non erediteranno il regno di Dio. Saranno scaraventati nello stagno ardente di fuoco e zolfo”, annota Giovanni nell’Apocalisse.
Comunque…
Giudy si domanda: perché mia madre si tiene accanto un animale, stupido e feroce? I soli momenti di rilassatezza sono quando lui è fuori casa. Appena varca la soglia l’aria si fa pesante quanto la digestione di un pasto cannibale. Madre e figlia si muovono con cautela, i cinque sensi moltiplicati per tre, massima tensione a evitare il quid che scateni l’ira di Orenelfo. Forse quando l’uomo sbeffeggia: -Manco il marito hai saputo tenere-, è allora che una perversa e sanguinosa reazione contraria fa dire alla donna: -Te, io te ti tengo, tu non scappi-
Giudy non ha mai ricevuto percosse dirette. Qualche volta, Isabella, spinta rabbiosamente dal compagno, cade a terra e magari travolge la figlia. Orenelfo scalcia la donna supina che, nel tentativo di restituire qualche pedata, colpisce involontariamente la ragazza.
“Nessun omicida ha la vita eterna”, sostiene Giovanni apostolo in una lettera.
Sì…
E se la vita eterna fa schifo…
![](https://www.omnismagazine.com/wp-content/uploads/2024/02/Rossetti_Dante_Gabriel_-_La_Ghirlandata_-_1871-1874-Copia-689x1024.jpg)
Giudy Sullam ha 15 anni, capelli da cui tracima l’aurora, occhi color laguna, pelle fior di latte, bocca a cuore (avete presente La donna inghirlandata di Dante Gabriel Rossetti?). Dal lunedì al venerdì frequenta fino al primo pomeriggio il liceo scientifico Benedetti Tommaseo. Il sabato Giudy e la madre seguono calli dritte come frecce che colpiscono improvvisi campielli-bersaglio/scavalcano ponticelli arcuati come sopracciglia perplesse/spariscono sotto brevi porteghi/salutano i gondolieri che a ogni vogata suscitano gorghi olivastri. Le due vanno a fare le pulizie nella Scuola e nella chiesa dei Carmini.
La chiesa dei Carmini viene costruita dal 1286 sul terreno incolto nei pressi del già definito Campo Santa Margherita. Ciò spiega l’esistenza di una doppia entrata, da un lato verso Santa Margherita e dall’altro verso il futuro Campo dei Carmini, su cui oggi prospetta la facciata rinascimentale del 1653. L’interno è poco illuminato e non si apprezzano né la pala di Lorenzo Lotto né le tele di Cima da Conegliano e di Andrea Schiavone.
![](https://www.omnismagazine.com/wp-content/uploads/2024/02/Scuola-Carmini-Giuditta-e-Oloferne-Giambattista-Piazzetta.jpg)
La Scuola Grande dei Carmini è l’edificio d’angolo del Campo, bazzicato nel 1400 dalle Pinzochere carmelitane, Ordine di sole donne che venerano la Madonna apparsa al frate Simone Stock (dal 1600 anche gli uomini possono entrare nella confraternita). Nel 1700 l’architetto Baldassarre Longhena conferisce al palazzo tratti barocchi e il candore della pietra d’Istria. Celebre nella Scuola è la decorazione della sala superiore da parte di Giambattista Tiepolo: nel 1740 l’artista raffigura al centro del soffitto la Madonna del Carmelo che dà uno scapolare al beato Stock.
Mentre Isabella passa lo straccio bagnato sull’esagerato pavimento della sala del Tiepolo, Giudy spolvera i mobili della sala dell’Archivio. In questa stanza pende un quadro del 1743, 2 metri per 2, di Giambattista Piazzetta. Il Piazzetta, veneziano doc trascurato da molti storici dell’arte, è tra i primi 100 nel ranking dei pittori migliori del mondo.
Il quadro raffigura Giuditta che ha appena impugnato la spada del dormiente Oloferne.
“Ognuno di noi è un potenziale assassino. In ognuno di noi sorge di tanto in tanto il desiderio di uccidere. Per uccidere occorre però la volontà di uccidere”, scrive Agatha Christie.
Buono a sapersi…
^^^ Il Libro di Giuditta è un testo del Vecchio Testamento pervenuto in lingua greca nel II secolo a.C. Giuditta sta morendo di sete insieme ai suoi concittadini di Betulia. Oloferne, generale del re assiro Nabucodonosor, ha già assoggettato città e villaggi israeliti della Giudea. Oloferne è spietato e prima di affrontare i nemici proclama: “Li bruceremo in casa loro, i loro monti s’inebrieranno del loro sangue, i loro campi si colmeranno dei loro cadaveri” (è il Libro di Giuditta, capitolo 6; anche se sembra Benjamin Netanyahu).
Betulia è sulle montagne e, insieme ad altri insediamenti limitrofi, non è facile da conquistare. Chi sta sopra ha il vantaggio di colpire dall’alto ed è improbo organizzare un assedio tra le rupi. Oloferne ovvia alle difficoltà di espugnazione presidiando le fonti d’acqua ai piedi delle alture, quelle a cui si approvvigionano i paesi montani. Per i residenti di Betulia non ci sono alternative: o combattere e morire o morire disidratati.
La giovane Giuditta è vedova da tre anni e quattro mesi: il marito è crepato di insolazione nei campi. La donna vive perlopiù sotto una tenda che copre il terrazzo della sua casa.
“Chiamata l’ancella, Giuditta si toglie il cilicio di cui è rivestita, depone le vesti della vedovanza, si lava il corpo con acqua e lo unge con profumo denso; spartisce i capelli del capo e vi impone il diadema. Poi indossa gli abiti della festa, usati quando era vivo il marito. Si mette i sandali ai piedi, cinge le collane, infila braccialetti e anelli, appende gli orecchini. Si rende molto bella, tanto da poter sedurre qualunque uomo la veda” (Libro di Giuditta, capitolo 10).
Poi Giuditta carica l’ancella di una piccola scorta di viveri: un otre di vino, un’ampolla d’olio, una bisaccia con farina tostata, fichi secchi, pani puri.
Le due escono dalla porta di Betulia.
Alle prime sentinelle incontrate Giuditta dice di voler incontrare Oloferne per svelargli percorsi segreti che lo conducano a Betulia senza dare nell’occhio. La comunicazione potrebbe essere interessante e i soldati accompagnano la donna al tendone del comandante, preceduto da candelabri d’argento.
Davanti a Oloferne Giuditta racconta invece che il suo popolo è in grave peccato perché, a corto di acqua, ha ucciso armenti sacri e ha consumato le intoccabili decime del vino e dell’olio. Il Dio di Giuditta punirà i concittadini blasfemi e qualora Oloferne volesse attaccarli godrebbe dell’appoggio divino.
Oloferne si dice contento di questa profezia e, già colpito dal fascino della straniera, la invita a rimanere nell’accampamento. ^^^
“Proprio l’imperiosità del comando ‘Non uccidere!’ ci assicura che discendiamo da una serie lunghissima di generazioni di assassini, i quali avevano nel sangue, come forse ancora abbiamo noi stessi, il piacere di uccidere”, scrive Sigmund Freud.
Il quadro di Piazzetta nella Scuola dei Carmini mostra il corpo muscoloso di Oloferne che emerge come una roccia bianchissima dal chiaroscuro. Il comandante è franato nel sonno. Giuditta, faccia da ragazzina con cuffietta grigia, palesa tutta la silenziosa cautela che ci è voluta per sottrarre la spada al dormiente. È ai piedi del letto. Ha le braccia larghe come se stesse in equilibrio su una fune. Il suo vestito è del blu che oggi chiamiamo aviazione.
Giudy Sullam guarda la giovanetta che è serena, conscia della sua opportunità, attenta a non fare rumore.
Che ci vuole, Giudy, a tagliare una gola? La mano quasi sicuramente non trema. Davanti a te hai una bestia che ti fa a pezzi: ammazzare chi ti ammazza è forse ammazzare?
^^^ Nel Libro di Giuditta si narra che al quarto giorno dall’arrivo della donna, Oloferne vuole una cena senza soldati, solo con la servitù. Manda l’eunuco Bagoa da Giuditta per invitarla al pasto. La donna si mette in ghingheri e si adorna con tutta la gioielleria a disposizione.
“Giuditta entra nella tenda di Oloferne e si distende; il cuore di lui ne rimane incantato, si turba il suo spirito e molto intenso è il suo desiderio di unirsi a lei. Le dice pertanto: -Bevi e divertiti con noi- Giuditta risponde: -Sì, signore, berrò perché sento che la mia vita è oggi onorata come non mai dal giorno della mia nascita- E Giuditta mangia e beve davanti a Oloferne che, deliziato, beve tanto vino quanto non ne ha mai bevuto in un sol giorno da quando è al mondo” (Libro di Giuditta, capitolo 12).
“Quando si fa buio, i servi di Oloferne si affrettano a ritirarsi. Bagoa chiude la tenda dall’esterno e allontana le guardie. Giuditta viene lasciata nella tenda e Oloferne è sprofondato nel suo letto, che è posto dentro una cortina intessuta di porpora ricamata d’oro, di smeraldo e di pietre preziose. Il capo assiro è ubriaco fradicio. Giuditta prega: -Signore, Dio d’ogni potenza, guarda propizio in quest’ora all’opera delle mie mani per l’esaltazione di Gerusalemme. È venuto il momento di pensare alla tua eredità e di far riuscire il mio progetto per la rovina dei nemici insorti contro di noi-” (Libro di Giuditta, capitolo 13) ^^^
Quesito: l’invocazione della biblica Giuditta porta alla concessione da parte di Dio della licenza di uccidere? Dio ti legittima se ammazzi chi ti ammazza?
Dolce Giudy Sullam, se tu uccidessi un bieco aguzzino avresti l’approvazione di Dio, o almeno il suo disinteresse?
^^^ Nel Libro dell’Antico Testamento, “Giuditta, avvicinatasi alla sponda del letto dalla parte del capo di Oloferne, stacca la scimitarra di lui. Accostatasi all’uomo, gli afferra la testa per la chioma e dice: -Dammi forza, Signore Dio d’Israele- E con tutto il suo vigore lo colpisce due volte al collo e gli stacca la testa” (Libro di Giuditta, capitolo 13)
Il Libro si conclude con Giuditta che porta la capoccia recisa alla sua città, dove viene esposta sulle mura. Gli assetati di Betulia escono ad affrontare l’esercito nemico che, senza la guida di Oloferne, si sfilaccia e ripiega in ritirata. ^^^
“Il diritto di sopprimere tutti quelli che ci infastidiscono dovrebbe figurare al primo posto nella costituzione della città ideale” scrive Emil Cioran.
Una mattina Giudy Sullam va con la sua classe a Ca’ Pesaro, per un’escursione didattica. Ca’ Pesaro è un grandioso palazzo affacciato sul Canal Grande, sede del Museo d’Arte Moderna. Costruito tra il 1660 e il 1700, vi si riconosce la mano di Baldassare Longhena che, come ai Carmini, enfatizza la facciata col barocco e sceglie pietre che s’imbiancano al sole e si ingrigiscono con la prima ombra.
![](https://www.omnismagazine.com/wp-content/uploads/2024/02/Gustav_Klimt_Judith_II.jpg)
Giudy si sofferma a lungo davanti alla Judith-Salomé di Gustav Klimt, del 1909, 180 cm di altezza e 50 di larghezza. L’insegnante di Giudy spiega che in questo quadro Klimt è influenzato dal giapponismo che gli fa porre la donna in uno spaccato allungato e incorniciato da due bande di legno dorate. Lo sfondo è solo arancione, ornato da qualche spirale gialla.
Judith è sorpresa mentre si muove verso un luogo alla sua destra e offre all’osservatore il suo lato sinistro. La donna non dialoga con lo spettatore tramite uno sguardo frontale: è una donna presa solamente da sé, dalla propria forza viscerale, dalla propria fierezza amazzonica, da una libidine viva.
Il volto traina un blocco di capelli neri come fossero la notte-sipario da tirare sul mondo. Il neo vicino all’occhio certifica l’impossibile serialità della bellezza. Al collo si abbarbicano alcuni fiori rossi e azzurri. Il seno è ostentato in quanto perfezione della carne.
Judith se la sta svignando dalla scena del crimine, come denunciano la postura arcuata e la gamba nell’atto di compiere un passo sotto quel vestito variopinto che solleticherebbe l’invidia di ogni ragazza hippie. L’insegnante di Giudy commenta che l’andarsene di Judith non è silente oppure riparato nella crisalide dell’altezzosità: Judith vuole comunque creare un punto di corrispondenza con chi guarda. E l’interazione avviene con un dettaglio prepotente: le mani rosa chiaro, centrali nella tela, racchiuse da due strani festoni bianchi. Le mani, con polsi così snodati e dita così lunghe da poter suonare due pianoforti in contemporanea, hanno forma di artiglio e quando l’artiglio, sia esso di aquila/di uomo/di donna, ghermisce la preda, allora dalle propaggini unghiate parte un’estasi che si spande in tutte le vene. I polsi tintinnano di un numero esorbitante di gioielli.
L’insegnante di Giudy Sullam fa notare ancora come il capo mozzato di Oloferne abbia un ruolo marginale. Judith se lo porta appresso ciondolante, tenendolo per i capelli che formano una sorta di manico ed esibendolo come una borsetta di Gucci.
“Uccidere è sempre uccidersi”, scrive Simone Weil.
Va bene…Così sia…
Un pomeriggio Giudy è sola in casa. Studia seduta sul divano. Ha ancora il leggero trucco mattutino, un po’ di fard sulle guance, come la Judith di Klimt.
Rientra Orenelfo che preleva una birra dal frigo e la stappa.
Poi Orenelfo guarda con occhio acquoso Giudy. Considera:
-Bambina, ti sei fatta proprio una bella mona–
Orenelfo poggia la bottiglia sul tavolo. Si sbottona la camicia. Poi slaccia la cintura.
Giudy capisce al volo ciò che è facile capire.
Giudy toglie da sotto il cuscino del divano un coltello da cucina, da tempo nascosto.
Mentre Orenelfo ha i pantaloni mezzi abbassati e dunque è in precario equilibrio, Giudy si lancia sull’uomo e gli conficca la lama nel collo.
Il sangue zampilla.
Orenelfo ha uno sguardo dapprima stupefatto, poi terrorizzato. Lancia un urlo di scimmia macinata in un frantoio. Prova ad afferrare il braccio di Giudy.
La ragazza muove il coltello per allargare la ferita.
Il sangue smette di fiottare, ma scorre giù come un ruscello rosso.
Orenelfo si accascia intrappolato nelle brache.
Isabella torna all’imbrunire. Giudy è seduta sul gradino della soglia. Non è sporca di sangue: si è cambiata i vestiti.
Isabella vede il cadavere di Orenelfo, col coltello ancora piantato in trachea. Dice solo: -Portiamolo fuori-
Le donne fanno rotolare il corpaccione del defunto sul pavimento. Poi lo trascinano nel cortiletto e lo strascicano sul marciapiedi fino all’interruzione del muricciolo protettivo, laddove a volte attracca una barca. Lì lo spingono nel canale.
La corrente è pigra ma sufficiente per portare avanti il morto. Giudy e Isabella seguono lentamente la salma galleggiante che, allo sbocco nel Canal Grande, sfocia nella via liquida più famosa di Venezia.
Il corpo viene urtato da un vaporetto, poi da un altro che naviga in direzione contraria, poi da un taxi acqueo.
“Per comprendere certi delitti basta conoscere le vittime”, scrive Oscar Wilde.
Dolce Giudy Sullam, forse la giustizia algida degli uomini formulerà qualche imputazione a tuo carico.
Ma tu, Giudy, non hai commesso nulla di sbagliato, non hai compiuto cose che vadano condannate o perdonate.
Ammazzare chi ti ammazza non è ammazzare.
Nessun Dio, Giudy, ti muoverà accuse.
Ogni Dio, Giudy, prenderà semplicemente atto, come quello del Libro di Giuditta che, all’imperversare dell’efferato Oloferne, ha solo constatato una normale decollazione.
Carlo Maria Milazzo