Eppure, a Betania, Lazzaro risorge
Digitando Betania sulla tastiera ne saltano fuori due: quella oltre il Giordano e quella a 15 stadi (2700 metri) da Gerusalemme. La prima è teatro del Battesimo di Gesù ad opera di Giovanni Battista, l’altra è il luogo della resurrezione di Lazzaro. Occupiamoci della seconda.
Wikipedia dice che la nostra Betania è sotto il governatorato di Gerusalemme, in Cisgiordania, nello Stato della Palestina. Sono tutte informazioni corrette?
Betania è oggi un agglomerato di case basse, in pietra gialliccia. Sullo sfondo incombono case più alte, rettangolari, sorta di grattacieli nani. Il muro di separazione, eretto da Israele nel 2002, le nega la contiguità con il quartiere arabo di Jerusalem. Ma il pendio orientale del Monte degli Ulivi si vede nitido.
La tomba di Lazzaro è una porta alta un metro e mezzo, sormontata da sassi diseguali che, premendo gli uni contro gli altri, tengono su una parete. Una scalinata corrosa introduce a una camera dove molti visitatori si fermano a pregare. Qualche altro gradino ed ecco la camera mortuaria, poco più di 2 metri quadri.
Nel Vangelo di Giovanni, Lazzaro, amico di Gesù, è malato gravemente. Le sorelle Marta e Maria fanno arrivare un messaggio al Nazareno, che però è a tre giorni di cammino.
Scrive l’evangelista: “Venne Gesù a Betania e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il loro fratello”.
Marta e Maria sono tristissime, senza luce, come quando il filamento di una lampadina si spezza in un tic. Sono tristi come due wurstel dimenticati in fondo al frigo, come due piante dalle foglie finte, come due candele affogate nella loro cera.
Quando Marta apprende che Gesù è a breve distanza, gli corre incontro. Marta dice al Cristo: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà” (Giovanni 11, 21 – 23)
Gesù rassicura la donna: “Tuo fratello resusciterà”. Gesù le promette che pregherà per far rivivere Lazzaro. Ma pure lei, Marta, dovrà pregare, nutrendo la supplica con la convinzione adamantina nelle possibilità miracolose del Cristo.
PREGHIERA DI MARTA (da “Rider – Partitura per resurrezione organica”, testo a firma mia, pubblicato nel 1999)
“Se nuvole kamikaze vanno all’attacco di deserti disintegratori, io, Marta, piccola nuvola, vado alla carica del deserto della morte. Io posso gridare il vero criterio di santità, come canto di battaglia. E in nome di quel criterio posso reclamare la guarigione di Lazzaro.
Io, Marta, piccola nuvola, non posso certo garantire davanti al deserto gli alberi vestiti a neve e il vento macchiato da petali danzanti. Ma chiunque avrà al fianco Lazzaro, chiudendo gli occhi, potrà vedere giardini infarinati da corolle disfatte e sentire un vento tiepido salire su per le gambe.
Io, Marta, piccola nuvola, sono come un gelato puntato al cuore del sole. Ma anche il sole può arrendersi se Lazzaro è il nostro compagno d’infinito e quindi uomo d’oltresole.
Lazzaro è il diritto ad amare e se anche io, piccola nuvola, dovessi evaporare qualcun’altra dovrà godere della facoltà di innamorarsi di Lazzaro”
Rincasata Marta è Maria ad andare da Gesù. Seguita da alcuni Giudei, Maria si getta ai piedi del Cristo e dice: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Giovanni 11, 32 – 33). Poi Maria piange a dirotto, sfoga il dolore che altrimenti le avrebbe spaccato il cuore. Quelle lacrime sono la sua salvezza, il temporale che abbevera l’anima inaridita all’improvviso.
Finito di piangere anche Maria dovrà pregare, pure lei con sovrumana fiducia nelle capacità del Cristo.
PREGHIERA DI MARIA (da “Rider – Partitura per resurrezione organica”, testo a firma mia, pubblicato nel 1999)
“Io, Maria, piccolo camaleonte di Betania, ho solo voglia di piangere. Può un camaleonte diventare color del mare? Oppure color del cielo? E confondersi in mare e cielo con una posa a lacrima? Anche i professionisti della maschera non possono fingere con l’azzurro totale.
Adesso so che Lazzaro è al di sopra di tutti quanti e non concepisco di perderlo. Adesso so che Lazzaro è insostituibile.
Ma mi viene da piangere come se l’occhio fosse una fontana collegata all’oceano. E non mi consola nemmeno il detto di quel Maestro che sostiene che le lacrime sui sepolcri danno sempre frutto.
E però, se nuvole kamikaze vanno all’attacco di deserti disintegratori, io, Maria, piccolo camaleonte di Betania, vado a convertire in azzurro l’oro del deserto. Io vado a rivedere vivo Lazzaro, il mio compagno del tempo celeste”
Scrive Giovanni che quando Gesù vede piangere Maria e anche i Giudei venuti con lei, si commuove profondamente.
In nessun’altra riga della Bibbia compare la parola commozione.
Gesù, l’uomo serio, dal sorriso mai pervenuto ma anche dal turbamento mai accennato, prova commozione. Il suo sguardo, che potrebbe far precipitare gli uccelli dal cielo, esprime compatimento intenso. Il Cristo è molto triste, come un’armonica rubata a Bob Dylan.
La commozione è il sudore del cuore. La commozione è lasciarsi sfuggire l’umanità, qualora si sia uomini. Gesù, Dio incarnato, è emotivamente uomo.
Cara lettrice e caro lettore, tu ti commuovi ancora? Ti gocciolano i ventricoli e magari gli occhi quando vedi un ragazzo in divisa ucciso nel fango? Ti viene la saliva grossa quando guardi bambini azzuffarsi su un solo pezzo di pane? Ti scuote il petto la morte di chi è giovane per morire?
Oppure, lettori, siete in modalità “Bibi/Donald”, definibile con frase di Arthur Conan Doyle: “Ci sono uomini, per i quali l’omicidio è una cosa familiare, che più e più volte hanno ucciso padri di famiglia contro cui non avevano niente di personale, senza il minimo rimorso né la minima compassione per una moglie in lacrime o per i bambini inermi, capaci però di commuoversi fino alle lacrime per una musica tenera o patetica”.
O ancora, lettori, siete in modalità “scampato”, spiegabile con l’aforisma di Marcello Marchesi: “Un caso pietoso commuove, due anche, tre deprimono, dieci amareggiano, cento scocciano, mille rallegrano gli scampati”.
Giovanni racconta che Gesù scoppia in pianto. Probabilmente in questa sequenza: lacrimoni grossi come pere abate, singhiozzi da neonato abbandonato nel cassonetto, pianto fluido finalmente da donna.
Adesso consideriamo il testo di Giovanni da un altro aspetto, anche per non ricadere nel vizio molto diffuso di prendere qualche versetto del Vangelo, o di altro testo sacro, per affermare o difendere una propria tesi. Questo vizio si chiama fondamentalismo, oppure anticipo del suprematismo, oppure istigazione alla paranoia di vedere nell’opinione altrui un pericolo.

Utilizziamo la Resurrezione di Lazzaro dipinta da Giotto nel 1305 nella Cappella degli Scrovegni, Padova. Il paesaggio dell’affresco è uno scorcio palestinese, terreno desertico con una rupe zafferano, punteggiata da tre soli alberi smilzi. A sinistra Giotto colloca il gruppo degli Apostoli, aureolati. Avanti a loro primeggia Gesù, aureola formato maxi/tunica blu e rosa antico/mano destra benedicente nel cielo di lapislazzulo. Gesù ha da poco pronunciato l’intimazione: “Lazzaro, vieni fuori” (Giovanni 11, 43 – 44)
Sul lato destro, speculare al Cristo, c’è Lazzaro, insalsicciato in bende strettissime. La pietra sul sepolcro, un marmo ricco di venature, è stata rimossa da due garzoni che la stanno spostando nell’angolo destro del dipinto.
Pietro srotola la fasciatura bianca di Lazzaro. Il discepolo a lui vicino si copre naso e bocca con un lembo di tunica, per non respirare tanfo di putrefazione. Del resto Marta, quando Gesù comanda di stappare la tomba, obietta: “Signore, Lazzaro manda cattivo odore perché siamo al quarto giorno” (Giovanni 11, 39 – 40)
Lazzaro è rigido/scioccato/labbra nere appena socchiuse/occhi che guardano all’insù. Ma anche Lazzaro, attenzione!, ha l’aureola degli Apostoli.
In basso Marta e Maria sono prostrate a ringraziare Gesù: Marta è vestita di bianco, Maria è in rosso sfumato.
Il centro della pittura è occupato da un gruppo di uomini che agitano le mani in modo assai dinamico a confronto della fissità di tanta pittura trecentesca. Gli uomini sono sorpresi, bisbiglianti, meravigliati. Se lo stupore è al centro della scena, ecco che quello sbalordimento deve avere grande rilevanza. E in effetti, secondo Giovanni, molti Giudei da quel momento credono in Gesù il Cristo (anche se alcuni spioni vanno dai farisei a riferire l’accaduto).
Passiamo ora a una breve interpretazione esoterica che, come tutto ciò che viene etichettato “esoterico”, può essere intrigante oppure risibile.
Appena i farisei imparano di Lazzaro riuniscono il sinedrio e constatano: “Quest’uomo compie molti segni” (Giovanni 11, 48 – 49). Poi decidono la persecuzione e la morte di Gesù.
Come mai il ridestarsi di Lazzaro irrita tanto i sacerdoti? Come mai li spinge a un progetto assassino?
Si può rispondere gettando uno sguardo su ciò che si chiama “iniziazione” negli antichi misteri, prima di Cristo. Un uomo iniziato nei misteri è in grado di vivere esperienze nei mondi spirituali, sì da poterne diventare testimone. Chi è maturo per l’iniziazione è accolto nei misteri che sussistono in Grecia, in Caldea, in Persia, in Egitto, in India. L’iniziando, dopo lungo tirocinio in cui il suo corpo astrale è reso consapevole del mondo spirituale, viene posto dall’iniziatore in uno stato simile alla morte, per una durata di tre giorni e mezzo. In questo stato il corpo eterico dell’uomo viene estratto dal corpo fisico e connesso al corpo astrale istruito: solo così l’uomo riesce a sentire, percepire nitidamente, padroneggiare il mondo spirituale. Quando l’iniziatore richiama nel corpo fisico gli altri due corpi, allora l’iniziato, risvegliandosi, diventa testimone attendibile dei mondi spirituali. Tutto questo avviene nel segreto e i non iniziati nulla sanno degli antichi misteri.
Con la venuta del Cristo il corpo astrale conosce e sente il mondo spirituale direttamente dal Cristo. Nei Vangeli il Cristo è Dio, figlio di Dio, Spirito Santo, Verità, Vita, Stato di grazia che compie il bene, Verbo incarnato, Logos creatore. Chi contatta e comprende il Cristo prova il mondo spirituale e lo accoglie in sé.
Però…….a questo punto, se non occorre più un rito per accedere allo Spirito, allora la vecchia iniziazione agli antichi misteri non ha più ragion d’essere. Il momento di transizione dalla iniziazione obsoleta alla nuova iniziazione allo stato cristico è sancito dalla resurrezione di Lazzaro.
Come i vecchi iniziandi, Lazzaro è in uno stato di morte indotta da più di tre giorni ma, come afferma Gesù, “questa malattia non è a morte”. Lazzaro è l’ultimo ad avere l’iniziazione antica ma, essendo risvegliato dal Cristo stesso (“Io vado a svegliarlo”, dice Gesù), è anche il primo ad avere esplicitamente in sé la concezione del mondo dello Spirito.
Piccolo passo ulteriore: Marta e Maria mandano a dire a Gesù: “Lazzaro, quello che tu ami, è malato”. E i Giudei, quando vedono Gesù commosso davanti al sepolcro, commentano: “Vedi quanto ama Lazzaro”. Ma chi è che nel Vangelo di Giovanni è il discepolo che più il Signore ama, chi è l’Apostolo prediletto? Queste espressioni indicano sempre Giovanni. E pertanto l’ultimo iniziato alla maniera antica e il primo iniziato da Cristo è proprio, sotto il falso nome di Lazzaro, Giovanni.
Secondo ulteriore passo: l’etimologia di Lazzaro viene dall’ebraico e poi dal greco, Eleazar, che alla lettera significa “colui che Dio ha assistito (o aiutato)”. Eleazar contiene il concetto di Elezione, quindi di scelta e preferenza.
Terzo e ultimo passo: i sacerdoti sono inferociti. Gesù dà troppi segni, sia riguardo alla vecchia iniziazione che riguardo alla nuova. Conoscenze e pratiche esclusive della casta sacerdotale vengono in un sol colpo deposte e archiviate. Una religione millenaria con i potentati politici annessi, anche presso i conquistatori Romani, viene annichilita in un amen.
Il sommo sacerdote Caifa è triste, come un Sergio Endrigo con le emorroidi. Come fa Caifa ad accettare la sua cosmica destituzione? Come fa a separarsi dagli abiti del potere? Come può non sopprimere il Cristo?
La resurrezione di Lazzaro è il prologo della morte di Gesù. La vita ridata all’uomo mortale da Dio chiama la morte data a Dio dagli uomini.
Carlo Maria Milazzo
