70 anni di televisione (e 100 di radio)
“L’ha detto la televisione” è una frase che in passato, prima dei tempi delle fake news tecnologiche, si è sentita spessissimo. La televisione è stata per decenni la “fonte autorevole” per antonomasia. La Rai TV è stata un pilastro per l’Italia; di essa esiste una narrazione, ma contemporaneamente anche una storia e non sempre coincidono. La prima è stata spesso piegata a strumentali esigenze contingenti. La seconda, pur sviluppandosi abbracciata alle realtà politiche ed economiche del Paese, ha una sua strutturale autenticità: quella, appunto, della storia documentata.
Questa seconda, la storia vera, che rende ragione di ogni passo, è oggetto del nuovo libro di Vincenzo Basili, “Rai TV. Storia della radio e della televisione” (Modena, Collezioni Il Fiorino-Sigem, 2024, pp. 104, euro 14).
Basili è firma nota nel panorama della pubblicistica sulle tecnologie radio-televisive. “L’immagine in movimento. Teoria e tecnica della produzione televisiva”” è un ponderoso volume (oltre 800 pagine!) che ha accompagnato la formazione di molti nel settore. L’autore ha spiegato ciò che egli stesso aveva sperimentato (e in parte anche contribuito a creare): entrato in Rai per concorso all’inizio della sperimentazione della Terza Rete, Basili vi sviluppa tutta la carriera, da tecnico di montaggio a responsabile del Settore produzione e news della sede regionale dell’Emilia-Romagna, oltre che referente di trasmissioni nazionali e grandi eventi, come ad esempio le Olimpiadi. All’impegno professionale in Rai, Basili – giornalista professionista, laureato in scienze politiche– ha affiancato docenze al Master in giornalismo dell’Università di Bologna e all’Università di Modena e Reggio.
Il nuovo volume esce in un momento particolare: nel 2024 si incrociano almeno tre anniversari cruciali per la storia delle telecomunicazioni: il 150° della nascita di Guglielmo Marconi (25 aprile 1874), il padre da cui tutto il sistema TLC è generato; il 100° anniversario della Radio (6 ottobre 1924) e i 70 anni della nascita della televisione in Italia (3 gennaio 1954).
Con stile piano (didattico, verrebbe da dire) Basili racconta la genesi tecnologica e politica di tante decisioni. Dai tempi di Mussolini, che capì l’importanza della propaganda e la esercitò anche attraverso il nuovissimo strumento del Cinegiornale, alla prima concessione ventennale alla RAI per la gestione delle radioaudizioni. Era il 1952. Anno in cui il controllo dell’azienda passò dalla SIP (Società Idroelettrica Piemonte) all’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). La tecnologia televisiva presto sarebbe arrivata anche in Italia, dopo che le prime trasmissioni regolari in bianco e nero su larga scala erano state avviate nel 1947 negli Stati Uniti. In effetti, sulla tecnologia televisiva gli scienziati avevano lavorato in tutto il mondo fin dalla metà degli Anni ’20.
Al nome del ricercatore russo-tedesco Paul Gottlieb Nipkow e del suo “disco rotante traforato”, brevettato nel 1885, si aggiunse quello dell’ingegnere britannico John Logie Baird e nacquero le prime televisioni elettromeccaniche. Ma già nel 1927 Philo Farnsworth sviluppando, a uso televisivo, la tecnologia alla base del tubo catodico del fisico tedesco Karl Ferdinand Braun, aveva inventato la televisione elettronica.
Nel 1930 a Torino nacque quello che sarebbe diventato il famoso laboratorio di ricerche della Rai.
Intanto cresceva la comunicazione via radio: l’invio del segnale di soccorso permise di salvare, nel 1912, 700 passeggeri del Titanic, ma ancora prima, nel 1909, ne aveva salvati oltre 1700 a bordo del transatlantico britannico Republic. In questo stesso anno, Marconi ricevette, insieme a Braun, il Nobel per la fisica.
A metà degli Anni 30 il mondo era pronto per le prime trasmissioni televisive, ma lo scoppio della Seconda guerra mondiale ne rallentò la diffusione; nel frattempo anche l’Italia, nel 1939, aveva iniziato le prime trasmissioni TV sperimentali, con impianti prima a Torino, poi a Roma e Milano.
Se nel 1947gli Stati Uniti cominciarono le trasmissioni in bianco e nero su larga scala, nel nostro Paese si dovette aspettare il gennaio 1954. Così come ci fu un gap cronologico abbastanza grande sull’adozione del colore, avviato nel 1954 negli USA e nel 1960 in Giappone. In Europa solo nel 1967. Si tardò ancor di più in Italia, penalizzata dal tentennamento politico sulla decisione tra il sistema Pal e quello Secam. Soltanto nel febbraio 1977, a seguito anche della più vasta riforma della Rai del 1975, il nostro Paese ebbe accesso ai programmi a colori. Nel frattempo, era nato il Secondo canale Rai e stava nascendo anche la Terza rete; dopo le radio libere erano arrivate le televisioni private (inizialmente pirate). Quasi come un segno del mutare dei tempi, il 1977 mise la parola fine alla trasmissione “Carosello”.
Intanto erano cambiati anche gli strumenti di lavoro all’interno della Rai: riprese leggere, riprese pesanti e sistemi di montaggio diventavano sempre più duttili e consentivano una maggiore celerità nel confezionamento di news e programmi e nella proposta di collegamenti in diretta. Termini come “Ampex” e “Betacam” sono ben chiari a chi la Rai l’ha vissuta da dentro.
Negli Anni 80 una nuova rivoluzione: le reti Fininvest crearono un duopolio che le legge Mammì del 1990 finì con il riconoscere. Nel 1995 si arrivò ad un referendum per la privatizzazione della Rai. L’arrivo delle piattaforme satellitari impose una nuova modulazione legislativa, con le legge Maccanico del 1998, che regolava gli assetti delle frequenze e istituiva l’ Autority per le comunicazioni.
La tecnologia e il mondo correvano insieme; nasceva RaiNews, la prima rete integralmente di notizie; la struttura organizzativa interna della Rai veniva capovolta, da territoriale e orizzontale a verticale ed accentrata; la liquidazione dell’IRI (proprietaria di oltre il 90% delle azioni Rai) poneva serie questioni di assetto, per altro non ancora risolte.
L’arrivo del digitale ha sollecitato ulteriori, importanti modifiche, con la nascita delle piattaforme interattive, della TV “on demand”, dei canali a libero accesso come RaiPlay. In mezzo ci sono gli alti e bassi della politica, i fraintendimenti nella lettura delle prospettive future, ma anche gli slanci di efficaci intuizioni.
Tutto ciò insomma, che, nel bene e nel male, ha fatto della RAI-TV uno strumento cardine per la crescita dell’Italia.
Basili racconta tutto ciò con l’aiuto delle suggestive immagini di apparecchiature storiche conservate nel museo “Mille voci… mille suoni” di Gianni Pelagalli; una realtà che molti nel mondo invidiano all’Italia e a Bologna, e da cui sono tratte anche tutte le illustrazioni a corredo di questo articolo. Da storico aggiornato del XXI secolo, Basili aggiunge una chicca finale al suo lavoro: per i nativi digitali, le Note sono accompagnate da un QR che ne agevola la lettura.
Lisa Bellocchi